Porti chiusi, affari aperti

L’Africa vittima degli scambi Europa-Cina

“Aiutiamoli a casa loro” è una di quelle frasi che si sente spesso ripetere. Ma siamo sicuri che esista una “casa loro”? Siamo sicuri, per esempio, che per gli africani l’Africa sia ancora “casa loro”? Secondo gli ultimi dati economici, la Repubblica  popolare della Cina  dispone di  circa un terzo del fatturato industriale  dell’intero continente. 

Da anni sta  espandendo il suo controllo  economico, tecnologico  e perfino patrimoniale su numerosi stati africani, acqusitando intere aree  territoriali  per sfruttare le loro potenzialità naturali e assicurandosi così la disponibilità di preziosissime materie prime. La Cina si appropria di interi pezzi del continente, ovviamente a prezzi più che convenienti, per accrescere la propria influenza e la propria ricchezza, oltreché per ostacolare chi in prospettiva potrebbe diventare competitivo sullo scenario economico internazionale.

Ma  la Cina non si è fermata qua. Oltre ad aver preso di mira il continente latino-americano e a impegnarsi in diverse incursion negli stessi Stati uniti, ha iniziato a espandersi anche in Europa, nel vecchio continente. Acquistando importanti segmenti delle infrastrutture strategiche, partecipando con quote sempre più consistenti del sistema finanziario e in più accrescendo il suo controllo dal basso attraverso la propria manodopera e moltiplicando le sue piccole e medie imprese.

Una tappa di questo processo espansivo si è palesata nel marzo scorso, con l’arrivo, prima in Italia e poi in Francia, di una delegazione cinese, guidata dal capo supremo dello stato e del partito: il presidente Xi Jinping, il “padrone”, l’uomo forte, l’unico rappresentante legittimo di questa macchina economico-politica  che assaggia e poi  divora quello che trova davanti. E’ venuto in Italia non per ammirare la sua storia millenaria, la sua cultura,  la sua civiltà. Non perché gli italiani  sono simpatici né perché è tifoso dell’Inter (una delle migliaia società che i cinesi hanno acquistato in Europa  nell’ultimo quinquennio).

E’ arrivato in Italia perché il suo impero, quello che già si è assicurato buona parte del continente africano, ha bisogno di espandersi ulteirormente  e così rafforzare il suo dominion el mondo. E’ questa la “nuova via della seta”, il patto economico che si è stabilito tra Roma e Pecchino: 29 accordi commerciali per un valore di circa 2 miliardi e mezzo di euro, con l’obiettivo di riequilibrare la bilancia commerciale tra l’Italia  e la Cina, essendoci troppo Made in China in Italia e poco Made in Italy in Cina.

Ma è fin troppo evidente che si tratta di un’incursione nel territorio dell’Unione europea, che è parte di un progetto di espansione globale fondato sulla posizione dominante della Cina rispetto ai paesi con i quali firma questi accordi.

  La Cina non è una democrazia. E’ una dittatura che si è aperta al mercato globale al fine di esercitare su di esso la propria influenza economica, in forza della potenza demografica ed economica sviluppata all’interno. E’ governata da un  sistema di potere ferreo controllat dal  Partito comunista cinese. Non esiste ovviamente nessuna dialettica democratica, nessuna libera rappresentanza del popolo. La Repubblica popolare cinese è quella che impedisce a Taiwan di venire riconosciuto come uno Stato democratico, è quella che calpesta quotidianamente i diritti dei tibetani e perseguita il Dalai Lama. La Cina non riconosce la Dichiarazione universale dei diritti umani.

Sì, questa è la Cina, una super potenza autoritaria e avida, che è partita alla conquista dell’Europa. Quel vecchio continente che si vorrebbe baluardo della civiltà umana, fondata sul rispetto del diritto degli uomini e sulla libertà di essi, ma che tuttavia chiude i suoi porti a chi chiede di usufruire di questi principi sulla quale si fonda, mentre non esita a fare affari
con chi non condivide minimamente i sui valori.

Riuscirà l’Europa a navigare fra queste  sue contraddizioni , mantenendo la sua identità culturale liberale e di progressismo?

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