Un aiuto che non aiuta

I limiti della missione ONU in Mali

E’ del 1945 che l’Organizzazione delle Nazioni Unite agisce nel continente africano. E in generale con risultati a dir poco deludenti, se non proprio negativi. Si potrebbe sostenere che senza l’intervento dell’Onu l’Africa si troverebbe in una situazione ancora peggiore, ma certo fa impressione rilevare che su 54 paesi sono almeno una quarantina quelli attraversati da guerre e distruzioni.

   Minusma è una delle sue più recenti missioni: opera nella crisi maliana in stretto coordinamento con l’esercito francese e di sicuro non brilla per il suo ruolo pacificatore. Invece di intervenire per la pace, è di fatto uno dei soggetti militari del conflitto. Agisce nelle regioni settentrionali del paese, occupate dai ribelli indipendentisti del Mlna, con l’obiettivo di riconsegnare quei territori all’attuale governo, ufficialmente riconosciuto in seno alle Nazioni Unite.

   Anche il resto del paese è drammaticamente investito dalla guerra. Nelle regioni del Centro occupate da Ansardin, che è una derivata locale di Al Qaeda, si susseguono scontri e persecuzioni tra le varie etnie, cinicamente alimentate dalle diverse parti in conflitto. I territori del Sud sono invece controllati dal cosiddetto governo del Mali, che in sostanza è un protettorato francese sotto l’egida dell’Onu.

   Il bilancio della missione Minusma è insomma pesante, e non solo per l’ingente perdita di vite umane tra i diversi contingenti militari che vi hanno partecipato. L’intervento dell’ONU nella crisi maliana ha alimentato e sviluppato fenomeni di accaparramento e corruzione, oltreché di depravazione delle coscienze. La risoluzione della crisi maliana non è stata raggiunta e anzi, per diversi aspetti, è stata aggravata. Anche a causa della pessima gestione degli aiuti umanitari, il cui contenuto non di rado è stato utilizzato per altri scopi.

   Gli aiuti arrivano sigillati in grandi casse, che nessuno ha il coraggio di aprire per verificarne il contenuto. Vengono controllate esclusivamente dalle forze militari, che così, aggirando le regole internazionali, possono smistare il loro contenuto, in prevalenza armi e munizioni, verso chi ritengono loro alleato, o direttamente venderlo nel mercato bellico. E più armi girano, più guerre si stratificano, più orrori si consumano.

Possiamo dunque chiamarli aiuti ?

   Oltre ad alimentare il mercato delle armi, gli aiuti umanitari scaricano nel paese anche impianti e macchinari utilizzati per l’estrazione di oro, pietre preziose e minerali rari, di cui è ricco il sottosuolo del Mali del nord. I prodotti estratti vengono trasportati in un vicino porto della Costa d’Avorio, per poi raggiungere via mare direttamente la Francia.

   Questi “aiuti” non aiutano il paese, ma rappresentano un vero e proprio sabotaggio. Non hanno avuto ricadute positive sulla crisi maliana. Al contrario hanno generato banditismo e criminalità, contrabbando e malversazioni, traffico delle armi, della droga e perfino di esseri umani.

   Ed è per questo che nell’ultimo biennio il tasso migratorio dal Mali è uno dei più alti di tutta l’Africa. Migliaia di cittadini maliani fuggono dal loro paese per raggiungere l’Algeria, dalle cui frontiere inzia il cammino per tentare di raggiungere le coste europee. I fuggitivi vengono però fermati dalle stesse autorità algerine, che li rimpatriano abbandonandoli nelle aree destertiche, dove in molti muoiono di sete e fame. I più fortunati vengono catturati da bande di negrieri che spesso abusano di loro. Li vengono torturati fino a obbligarli a contattare i propri familiari per richiedere del denaro.

Solamente coloro che riescono a pagare vengono liberati, chi non ci riesce viene ridotto in schiavitù, costretto a lavorare in condizioni estreme, o direttamente venduto ad altri trafficanti di essere umani, libici soprattutto.

   E in Libia si replicano le stesse sevizie, se possibile ancora più ferocemente. Imprigionati per mesi e mesi in minuscole e affollatissime celle, abusati, torturati, costretti a lavori forzati e infine, se sopravvissuti, consegnati ad altri trafficanti che li vendono a chi organizza le traversate verso l’Italia, la Grecia, la Turchia, l’isola di Malta. Traversate che spesso naufragano con tutto il loro penoso carico umano.

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