Il pregiudizio si supera, il razzismo no

La mancata approvazione dello ius soli: ipocrisia o viltà della politica ?

La recente polemica Renzi-Gentiloni-Minniti sulla mancata approvazione della riforma dello ius solis ripropone una delle tante (troppe) questioni irrisolte di questo nostro paese. Non sfugge che la sortita dell’ex presidente del consiglio ed ex segretario del Pd riguardi anche quegli attriti politici mai superati all’interno del partito, ma indubbiamente ha il merito di riaprire la discussione su una legge tanto necessaria quanto invisa.

In sostanza Renzi rimprovera al governo successivo al suo una mancanza di coraggio politico. Di non essere ricorsi al voto di fiducia su un provvedimento che avrebbe finalmente riconosciuto la cittadinanza italiana a chiunque in Italia si ritrovi a nascere. Al contrario dello slancio che caratterizzò il suo governo quando si trattò di approvare le contrastatissime unioni civili, quella legge che consente anche a persone dello stesso sesso di regolarizzare il loro rapporto affettivo, con gli stessi diritti di chi si unisce in un matrimonio tradizionale.

Sono due argomenti piuttosto diversi, ma uniti da una stessa esigenza, quella di veder riconosciuto un moderno diritto sociale e civile. E uniti anche da un cospicuo e diffuso sentimento oppositivo, che in un caso la politica ha saputo superare con lungimiranza e che sull’altro ha preferito ritrarsi e ripiegare.

E allora per quale motivo un bambino o una bambina nati sul suolo italiano, con madre lingua italiana, che frequentano le scuole italiane, suscitano più diffidenza rispetto a una coppia omosessuale che, come sappiamo, viene largamente considerata moralmente inaccettabile, se non proprio generatrice di instabilità sociale? Perché insomma lo ius soli è percepito come più nocivo e deleterio rispetto alle pur perniciose unioni civili?

La risposta che ne deriva è avvilente: alla politica il razzismo fa più paura del pregiudizio. Invece di completare e arricchire i principi costituzionali sull’eguaglianza dei cittadini, i governi precedenti e, a maggior ragione, l’attuale si rifugiano in una rinuncia politica che ha il sapore della viltà. Non che il diritto familiare sia un dato socialmente poco sensibile, ma una riforma della cittadinanza che riconosca ai figli degli immigrati nati in Italia un trattamento egualitario è ormai diventato un “non possumus”.

Non è particolarmente edificante e anzi anche alquanto amaro rilevare che in questo paese è come se venissero prima “i miei”, anche se disallineati e non proprio accettabili, e forse dopo o forse mai vengono “gli altri”, cioè gli indesiderati stranieri.

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