UNA PARTE DI ME
Sono arrivato in Italia nel 2008 venendo dalla Libia via Mare, come molti di noi. Appena accolto a Lampedusa in un hotspot avevo capito subito che non si trattava di quel paradiso che molti si immaginano, dove tutto è facile. Ero nella camera insieme ad altre persone, sbarcate nello stesso periodo, quando la polizia mi è venuta a cercare per essere fotosegnalato per poter procedere con la domanda di asilo. Non avevo la minima idea di cosa fosse la domanda di asilo, per me ero arrivato in Europa e dovevo andare diretto a cercare lavoro per guadagnare dei soldi. E niente dunque, vengo identificato e via. Poco dopo cosi ho chiesto l’asilo.
Dopo 10 giorni sull’isoletta,vengo trasferito in Sicilia precisamente in provincia di Siracusa in un cpr insieme a tanti altri compagni di viaggio. Nella struttura gli ospiti erano tenuti in condizioni disumane. Lo stabile era una vecchia fabbrica e soprafollato. La gente si contagiava le malattie come varicella,tuberculosi ecc… eravamo tenuti prigionieri senza motivo, all’ingresso c’era l’esercito ed intorno il muro di recinto era alto tipo 5 metri. Dopo un mese di permanenza,senza essere informato dei diritti per i richiedenti asilo vengo portato in commissione territoriale di Siracusa per essere sentito. Questa commissione era composta da quattro persone di cui un membro della prefettura che di solito era il vice prefetto e tra l’altro fa il presidente durante la decisione collegiale, un membro dell’UNHCR, un membro del comune ed un membro della polizia.
La commissione ha il compito di ascoltare le storie, in particolare i motivi per cui gli immigrati hanno lasciato il loro paese di origine e valutare se concedergli la protezione internazionale oppure no. Nel caso in cui la domanda viene rigettata,in alcuni casi ci potrebbe essere la possibilità di riconoscere il permesso di soggiorno umanitario al richiendente. L’intervista si era svolta in lingua francese con l’aiuto di un interprete che parlava perfettamente entrambe le lingue a mio avviso. Ho raccontato un problema politico per cui ho lasciato il mio paese di origine. Dopo quasi 4 ore di domande di approfondimento finalmente l’interrogatorio finisce e sono tornato nel centro di accoglienza. Una settimana dopo l’audizione, sono venuti alcuni agenti della polizia di stato per notificarci gli esiti a ognuno di noi ed erano tutti dinieghi.
Mi sono preso il risultato e ho deciso immediatamente di andarmene da li. Non avevo capito la gravità della situazione. Sono andato a Napoli per cercare lavoro. Il momento passato in quella città mi è servito di lezione, ho capito che senza documenti non si può trovare lavoro, non puoi affittare una casa e quindi non hai la possibilità di iscriverti all’anagrafe e di conseguenza non hai diritto al medico di base.
Allora ho deciso di ritornare in Sicilia dove ho cercato un avvocato per fare ricorso alla decisione della commisione territoriale. Alcuni conoscenti mi hanno consigliato di affidare il mio caso all’avvocato del centro dove ero ospite visto che lo conoscievano ma purtroppo sono passati 11 anni ed ancora non so che fine abbia fatto il ricorso. Ero venuto a sapere però nel 2011 che il mio avvocato è stato arrestato per dichiarazione di falso e truffa ai danni degli immigrati.
In attesa dei documenti,sono stato costretto ad andare nei campi agricoli per lavorare almeno per vivere. A Napoli vivevo nel quartiere di afragola, dove ogni mattina alle 5 mi alzavo per andare a raccogliere le patate e venivo pagato 35 euro alla giornata. Dopo circa tre mesi di lavoro non continuativo, mi spostai a Foggia. Nel grande ghetto dove c’erano migliaia di migranti che facevano i braccianti e non solo. C’erano giri di prostituzione, capolarato, sfruttamento lavorativo, anche minorile….ecc
Ho passato circa tre o quattro mesi in quelle condizioni di cui ho parlato sopra. Dopodichè continuavo la stagione a Rosarno per la raccolta di mandarini e arancie. La prima volta che mi recai nel cittadina calabrese ho dormito nella ormai famosa baraccopoli di San Ferdinando dove le condizioni di vita continuavano ad essere disumane. La struttura era una vecchia fabrica, all’interno ognuno di noi aveva costruito delle tende per poter domire. Per tener caldo l’ambiente, accendevamo il fuoco. Usavamo i sacchi a pelo che i medici senza frontiere ci avevano distribuito per coprirsi. Ogni giorno, rischiavamo di essere bruciati vivi. La mattina avevamo tutti quanti l’odore del fumo addosso. Alle 5 del mattino tutti pronti per andare a lavorare. La giornata er pagata 25 o 30 euro. Le condizioni di vita erano talmente complicate e difficili che uno di noi si è suicidato. Questo giro triangolare (Napoli,Foggia,Rosarno) è continuato per tre stagioni. Questa parte della mia vita mi ha fatto provare rabbia nei confronti di me stesso, nei confronti dei miei familiari che sono rimasti in Africa perchè in qual modo, inconsciamente hanno contribuito a rendere difficile la mia vita appena arrivato in italia, mettendomi molte pressioni psicologiche addosso, dovute alle grandi aspettative che tutti ci eravamo fatti. Ho provato paure di ogni genere,di vivere senza documenti,di fallire la mia vita. Nel 2011 poi ho deciso di abbandonare la vita da bracciante per venire a Roma dove ho cominciato un altro percorso nella mia vita, ma questa è un’altra storia.