Come funziona la protezione internazionale in Italia
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
E’ l’articolo 10 della Costituzione italiana, la norma che tutela i diritti delle persone straniere che si rifugiano nel nostro paese. Il suo contenuto è chiaro, ma la sua attuazione non lo è altrettanto, sottoposta com’è a diversi e molteplici metodi d’applicazione, oltreché a interpretazioni che non di rado risentono del clima politico di volta in volta prevalente.
Oltre alle tutele previste dalla Costituzione, l’Italia è firmataria delle diverse Convenzioni di Ginevra e in particolare di quella pattuita nel 1951 sul diritto d’asilo. Vige pertanto nel nostro paese un combinato disposto di norme e principi a garanzia dei diritti fondamentali della persona: la libertà personale, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa, la libertà di associazione e riunione, le libertà di circolazione ecc.
Ne consegue che qualsiasi cittadino straniero che si rifugia in uno Stato che ha firmato la Convenzione del ‘51e ha nella sua Costituzione articoli volti a tutelare i diritti politici, ha per legge titolo a richiedere la protezione internazionale. Ma come si fa nel concreto a ottenerla?
In Italia può essere riconosciuto lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria. La differente tutela varia in base a una serie di parametri oggettivi e soggettivi che si riferiscono alla storia personale dei richiedenti, alle ragioni delle richieste e ai paesi di provenienza.
Ai sensi del primo articolo della Convenzione di Ginevra,è riconosciuto rifugiato“chi temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.
Ma anche il cittadino straniero che non può dimostrare quella persecuzione personale prevista dalla Convenzione di Ginevra ha diritto a essere tutelato attraverso lo status di protezione sussidiaria. Un’apposita commissione territoriale riconosce tale condizione a chi si ritiene che rischi di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale), nel caso di rientro nel proprio paese.
Oltre al riconoscimento dello status di rifugiato politico, per i cittadini stranieri c’è un altro modo per ottenere la protezione umanitaria: attraverso il rilascio di permessi di soggiorno per motivi per l’appunto umanitari. Ma tale possibilità è stata sensibilmente ridotta dal recente decreto promulgato dal ministro Salvini, che ha abrogato in toto la precedente e più generosa legge del 1998.
Saranno ora le singole questure a rilasciare questi permessi, ma in base a criteri tanto opinabili quanto discrezionali. C’è il permesso per un’imprecisata protezione speciale o per misteriosi casi speciali, c’è quello per calamità e quello per cure mediche e infine per edificanti atti di particolare valore civile.
Come s’intuisce, siamo in una situazione in cui improbabili funzionari stabiliranno arbitrariamente se e quando rilasciare permessi di soggiorno, oscillando tra il caritatevole e il premiale. Cosa che è esattamente l’opposto del riconoscimento di un diritto.