La rivolta rabbiosa e luccicante contro la violenza sulle donne

Nel 1951 uno stilista messicano presentò per la sua sfilata a New York una collezione di vestiti in rosa bougainvillea, che i giornali statunitensi battezzarono come “rosa messicano”, un colore deciso, vibrante, tipico della cultura del Messico. Non è quindi un caso che sia questo il colore della polvere luccicante (glitter) che ha fatto la sua comparsa come arma simbolica femminista nelle manifestazioni d’agosto a città del Messico: cospargendo beffardamente le spalle del capo della polizia nel bel mezzo della protesta contro la violenza che subiscono ogni giorno le donne in Messico.

Che sia stato proprio lui il bersaglio della soave polverina femminista era del resto inevitabile. Come massimo dirigente di quei poliziotti che giorni prima avevano violentato una ragazzina nei pressi di un museo e sequestrato un’altra ragazza, catturata a poca distanza dalla sua abitazione. Le donne messicane sono piene di rabbia per gli omicidi, gli stupri, i rapimenti che si susseguono incessantemente nel paese. Sono già quasi millequattrocento le donne uccise nel primo semestre del 2019.

E di fronte a questa strage che sembra inarrestabile, anche la protesta si sta facendo inarrestabile. A migliaia scendono in piazza, sfilano nei cortei, urlando la loro collera e la loro indignazione e, soprattutto, inondando di glitter e pittura qualsiasi cosa s’incontri nelle manifestazioni: monumenti, muri, mezzi pubblici, asfalti e selciati. Ma il rabbioso furore della protesta non s’è fermato alle decorazioni di rosa messicano. Sono state infrante vetrine e danneggiate macchine, accesi falò e distrutte paline e pensiline degli autobus.

La sindaca di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, ha definito “provocatrici” le manifestanti. Mentre le dirigenti dei diversi collettivi femministi hanno rivelato d’aver individuato diverse persone infiltrate nei cortei per destabilizzare il movimento, anche se hanno in qualche modo ammesso che la furia delle manifestazioni è la reazione a decenni di violenze, abusi, paura, omertà istituzionale, complicità maschili.

Quello che si sta sviluppando in Messico è insomma un conflitto aspro e gravoso. Conseguenza di un persistente clima culturale persecutorio nei confronti delle donne, avallato o quantomeno non contrastato da chi dovrebbe al contrario garantire tutela e sicurezza. Non è di certo giusto, utile ed elegante rompere, danneggiare, sporcare. Non è da persone civili e responsabili. Ma è anche certo che le cose possono essere riparate e rimpiazzate, pulite e restaurate, mentre le donne ammazzate non possono essere resuscitate. Gli oggetti si aggiustano, le vite si rimpiangono.

È insopportabile assistere ai moralismi ciechi e ipocriti di persone che sovrappongono le cose materiali alla vita umana, e che ci vorrebbero tutte donnine impaurite e rinunciatarie, rassegnate a subire all’infinito tutto il repertorio di abusi, violenze e persecuzioni. Ma è bene che costoro si ricredano, poiché continueremo a cospargere il mondo con la nostra polverina luccicante e a gridare a squarciagola “non una di meno”. In Messico come in tutto il mondo.

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