Un razzista alla Casa bianca

Con la presidenza di Donald Trump gli Usa tornano a un oscuro passato

Da quando Donald Trump è alla Casa Bianca, negli Stati uniti le cose stanno tristemente cambiando. Sta tornando il peggio della sua storia razzista, quella che per secoli ha sfruttato gli afro-americani nei campi di cotone, quella che considerava cani gli immigrati italiani, irlandesi ed ebrei.

Si avverte una non sempre sorda diffidenza verso gli stranieri. Gli stranieri? Ma se l’intero continente americano esiste proprio grazie agli stranieri, a quella sterminata popolazione migrante che lungo l’intero arco della storia moderna ha edificato “il nuovo mondo”, che senso ha tale diffidenza?

Questa brutta storia di razzismo inizia quando il 16 giugno 2015 l’uomo d’affari e il showman televisivo Donald Trump annuncia la sua candidatura presidenziale, dichiarando subito i suoi intendimenti per raggiungere il potere. “Rifare grande l’America un’altra volta”, è stato il suo primo slogan per attaccare gli immigrati latino-americani, definiti come coloro che venivano solo a delinquere e a rubare il posto di lavoro agli americani.

Affermazioni che hanno immediatamente diviso gli Stati uniti. Da un lato, molte imprese annullano i contratti d’affari che avevano sottoscritto con le società di Trump, dall’altro, la cosiddetta America stanca e sottovalutata corre ad annunciare il suo appoggio. Appoggio che, tra gli altri, viene assicurato dal noto imprenditore americano Anthony Scaramucci, nipote di immigrati italiani, arrivati ad Ellis Island all’inizio del secolo scorso, dopo aver attraversato l’Oceano.

Ma è solo all’indomani della sua elezione, che il disegno del nuovo presidente per rifare grande l’America comincia a prendere corpo. Costruzione di un gigantesco muro lungo il confine con il Messico, rimpatrio di tutti gli immigrati irregolari presenti sul territorio americano e abrogazione di tutte le leggi sull’accoglienza approvate dal suo predecessore Barack Obama.

E il peggio avviene e sta ancora avvenendo nel tessuto sociale statunitense, dove i segmenti razzisti più violenti e risoluti si sentono in qualche modo autorizzati a passare all’azione. Si moltiplicano i casi di discriminazione e persecuzione contro le minoranze linguistiche, contro i musulmani, contro gli ebrei e perfino contro gli italo-americani, gli stessi che pure avevano votato per Trump. 

Esemplare la parabola del già citato Anthony Scaramucci, nominato direttore della comunicazione del presidente, licenziato dopo soli undici giorni di servizio effettivo. L’ignobile attacco che Trump rivolse alle quattro deputate democratiche, invitandole “a tornare a casa loro”, suscitò l’indignazione di Scaramucci che non esitò a definire “razzista” il presidente, nonché suo mentore ed ex datore di lavoro.

Durante un’intervista alla Cnn, Scaramucci ricordò le discriminazioni che riceveva sua nonna calabrese dagli anglosassoni, esattamente le stesse che Trump aveva espresso contro le deputate. Ragion per cui dichiarò pubblicamente che non poteva assolutamente difendere quelle odiose dichiarazioni.

Ma tutto ciò non ha fermato Trump nella sua crociata contro gli stranieri. Ha infatti proditoriamente deliberato un nuovo decreto legge che riguarda anche gli immigrati regolari, restringendo le loro libertà politiche, nonché la possibilità di lavorare e vivere negli Stati uniti.

Vale a questo punto la pena ricordare cosa dice un noto sermone: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

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