L’America dove i rifugiati diventano onorevoli

E’ una donna, nera, musulmana, origine somale e rifugiata. Insomma identità complessa e difficile da portare indietro nell’attuale America di Donald Trump. Dove razzisti e supremazisti bianchi perpetuano attacchi e scontri con le forze dell’ordine, autorizzati inversamente da un Capo di Governo cieco persino a condannarli.

Le ultime elezioni parlamentari del 2018 negli Stati Uniti (i cosiddetti mid term elections, che si tengono a metà mandato della Presidenza) ci hanno regalato un’emozione per noi immigrati che viviamo in Italia. Una speranza, quella sconvolgente, che gli americani stessi vissero durante le presidenziali del 2008, l’elezione del primo Presidente nero della storia statunitense.

Si chiama Ilhan Omar, nata nell’ex colonia italiana della Somalia nel 1981, all’età di soli dieci anni è costretta a lasciare la sua terra, a seguito dello scoppio della guerra civile. Per i prossimi quattro anni, un campo di profughi del Kenya diventa la sua casa. Il Dadoab Refugee Complex è dove inizia la sua formazione culturale. Conosciuto come uno dei grandi centri d’accoglienza nella provincia di Garissa in Kenya, gestito dalla Nazioni Unite, fino a oggi ne ha accolto e continua ad accogliere migliaia di rifugiati che scappano dalla guerra e dalla fame. Molti del Sud Sudan, Eritrea e Somalia trovano prima accoglienza qui.

Nel 1995, la richiesta d’asilo politico formalizzata da suo padre Ali viene accettata negli Stati Uniti, e si trasferisce subito prima ad Arlington nello Stato di Virginia per poi sistemarsi definitivamente a Minneapolis. Durante la sua fase d’adolescenza subisce forti attacchi di bullismo e razzismo, l’hijab che si porta sulla testa non la salva nemmeno dai forti sentimenti di islamofobia che riceve dai suoi compagni. Nella sua biografia racconta gli abusi fisici che constatava quotidianamente quando frequentava il liceo, ricordando i compagni di classe che si attaccavano alla gonna, spingendola giù per le scale. Ma oggi è un’altra realtà! A diciannove anni diventa ufficialmente cittadina americana. Dopo il diploma prosegue i suoi studi universitari e si laurea con lode in scienze politiche e relazioni internazionali all’Università del Dakota del Nord. Inizia subito a occuparsi di problemi legati alla nutrizione e alla salute nella sua comunità locale, per poi finire a dedicarsi all’attivismo politico. Membro del partito democratico americano, nel 2016 è stata eletta alla Camera dei deputati dello Stato del Minnesota, diventando cosi la prima donna di origini somale musulmana eletta in una carica negli Stati Uniti. Ma non si ferma. Visto i terribili risultati delle elezioni Presidenziali del 2016, dove trionfò il tycoon New Yorkese Donald Trump, facendo una campagna elettorale xenophoba, piena di minaccia all’integrità delle persone come lei, persone che una volta erano immigrati, che una volta avevano bisogno di rifugiarsi. Per questo nel 2018 lancia una sfida a se stessa, candidandosi alla Camera dei Rappresentanti per rappresentare il 5° distretto congressuale del Minnesota a Washington D.C. Una sfida per portare la battaglia proprio alle porte del nuovo inquilino della Casa Bianca!

Il 6 Novembre 2018 con il 79% dei voti viene eletta sconfiggendo la sua rivale di destra appoggiata dal neo Presidente USA, mandando un chiaro messaggio e netto! E insieme alla sua collega Rashida Tlaib, scrive la storia essendo tra le prime due donne di religione islamica a essere elette nella storia del Congresso statunitense. Assegnata alla Commissione esteri della Camera, lancia subito provvedimenti per richiamare la trasparenza e il controllo sull’esecutivo. Insomma da quel giorno in poi cade sotto i riflettori della stampa di estrema destra e nel merino del Capo del Governo.

“Essendo una donna somala musulmana proveniente dall’Africa orientale», dice Ilhan Omar, «sono esposta alle critiche di molte persone che cercano di farmi passare come una che difende un gruppo particolare. Invece voglio essere al servizio di tutti. Spero che la mia elezione dimostri che possiamo effettivamente correre in aree dove non tutti quelli che ci vivono ci assomigliano o hanno un’identità condivisa con noi. Spesso, quando si tratta di minoranze e di donne, siamo incoraggiati a scendere in campo solo quando i dati demografici sono a nostro favore – e siamo scoraggiati quando non lo sono. Spero che la mia candidatura consenta alle persone di avere l’audacia di incoraggiare le persone che non rientrano in un particolare gruppo etnico o demografico a mobilitarsi. Nonché a credere nel loro messaggio e nella buona disposizione degli elettori a scegliere qualcuno che ritengono che condivida il loro orientamento. E non necessariamente la loro identità»

Quella di Ilhan Omar è una classica storia americana d’immigrazione e impegno. Ha cambiato il Congresso ancor prima d’insediarsi, ottenendo una modifica del regolamento della Camera che permettesse alla deputata neo eletta d’indossare il suo copricapo (lhijab) all’interno del palazzo. Ma quello che vuole veramente è cambiare il dibattito sulla politica estera, invitando il popolo americano al tavolo. La convinzione di Omar che gli americani, se informati, farebbero la cosa giusta per i popoli di altri paesi la pone in netto contrasto con Trump e i propagandisti della “ Make America Great Again”, che immaginando che gli Stati Uniti isolati possano distinguersi. Non sfida solo i nazionalisti, ma mette proprio in discussione la narrazione angusta e di rabbia che viene offerto in un’era di globalizzazione trasformativa. In un ambiente politico in cui l’attenzione è più frequentemente focalizzata sulla politica di corto respiro e in cui le questioni interne ricevono sempre la massima attenzione, Ilhan omar ha scelto d’impegnarsi e focalizzare nell’ardua opera di battaglia della definizione e promozione di un internazionalismo progressista. In una era in cui la sinistra a livello mondiale si è persa su quale binario cadere, non sempre cosi brava a spiegare cosa sostiene ma a cos’è contraria, Omar ha fatto la trasformazione dei termini del dibattito pubblico la sua missione!!

Nata trentasette anni fa, la più giovane di una famiglia di sette figli , una rifugiata che è stata in grado di realizzare il sogno americano, Omar mi fa sognare di una Ilhan Omar italiana. Magari anche non una donna (visto le condizioni sociali in cui ci troviamo oggi). Mi fa sognare di un’Italia che un giorno pure si sveglierà e inizierà a camminare sulle vie dei suoi valori trattando tutti gli esseri umani dignitosamente, riconoscendo tutti i suoi figli nati nella sua culla e che parlano la sua lingua, anche se hanno il colore della pelle diversa, di un’Italia fiera nelle sue istituzioni che permetterà persino all’ultimo arrivato di servirla con fierezza, di un’Italia accogliente e inclusiva che straccerà via i decreti sicurezza di un governo populista. Di un’Italia che saprà navigare nella sua diversità interna e colmerà ogni occasione per salvaguardare la sua civiltà millenaria: a chi bussa una porta, a chi chiede di rifugiarsi non svolterà mai la sua spalla.

YES WE CAN!!!

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