Kalifa, uno dei “maledetti” migranti forzati a rientrare nel loro paese senza riuscire a raggiungere l’Europa. “Maledetto” è il soprannome dato a Kalifa essendo uno di quelli che ha fallito il progetto migratorio verso l’Europa. Rientrato nel suo paese, la Costa d’avorio, Kalifa vive incatenato dalla vergogna. Kalifa è originario della Costa d’avorio, sposato con dei figli e vive a Daloa, terza città più grande del paese. Tornato nel suo paese, dopo aver rinunciato alla traversata del Mediterraneo per tentare di venire in Europa, il giovane ragazzo ha trasformato un container in un officina dove ripara le macchine. L’officina è un luogo dove si nasconde per passare la giornata e rischiare meno di farsi vedere dalle vecchie conoscenze. La sera dopo la chiusura, Kalifa si dirige direttamente a casa senza passare da amici o parenti che non smettono mai di prenderlo in giro, qualificandolo come uno dei più grandi fallimenti della nostra era. Arrivato a casa, il giovane padre di famiglia si chiude all’interno della sua abitazione lasciando cosi la vergogna fuori dalla porta di casa, visto che l’unico posto dove non si sente chiamare “le maudit” (il maledetto) è dentro la sua famiglia.
Kalifa è rientrato dalla Libia un anno fa. Sono dodici mesi che vive nella vergogna e si nasconde per piangere. Era partito con l’obiettivo di arrivare in Europa e con la testa pieni di sogni, ma non è andata proprio come previsto, ed è stato costretto al rientro con la sua maledizione a febbraio del 2018, dopo un viaggio di dieci mesi senza riuscire ad imbarcarsi per l’Europa. Quella di essere rientrato senza una lira nella sua città nel centro ovest della Costa d’avorio ed essere ripudiato e preso in giro da una parte della sua famiglia e dagli amici del quartiere è davvero una maledizione. Deve sopportare gli sguardi dei vicini e deve anche tutti i giorni consolare i figli che tornano a casa piangendo perché fuori li chiamano “fils de maudits”, figli del maledetto. Infatti in una testimonianza, Kalifa ha raccontato di essere diventato uno straniero nella propria città. È come se non avessi mai vissuto qui con loro, continua nella sua dichiarazione. Irritato dalla vergogna e dall’esclusione della societa, il giovane progetta di ripartire per “rompere la maledizione”.
Per spiegare la sua prima partenza, il giovane padre parla del suo amico d’infanzia: “ prima di migrare verso la Spagna nel 2011, lo aiutavo sempre, non aveva niente. 5 anni dopo, fine 2016 è rientrato con 4 belle macchine e ha fatto costruire una grande casa per la madre. Per quanto riguarda me la situazione non era cambiato.”
Prima di darsi alla fuga verso l’Europa, Kalifa ha fatto due lavori: prima come agricoltore a Daloa nei campi di cacao, ma il rendimento economico del frutto prezioso della Costa d’avorio era irregolare, sopratutto in questi ultimi decenni e in un secondo momento come meccanico; aveva aperto una piccola e modesta officina dove riparava moto e macchine. Il giovane ragazzo ha lasciato intendere che quell’attivita era stata chiusa per colpa degli agenti della polizia municipale corrotti, che avevano preso di mira il suo posto di lavoro e lo costringevano a pagare pizzi e tasse fittizie. Tutte queste difficoltà hanno contribuito a farmi scoraggiare ed a rimanere nel mio paese e continuare le mie attività.
Al ritorno dell’amico di infanzia diventato Spagnolo, Kalifa riceve dei segnali mandati dai suoi famigliari e sopratutto dalla moglie, Mi diceva: “ hai visto il tuo amico, è coraggioso, lui ha migrato e adesso aiuta la sua famiglia. È benedetto”
Vedendo le sue attività professionali stagnare e tanti amici e conoscenti partire lasciare la propria terra, Kalifa come tanti migliaia di ragazzi della sua età, della terza città della Costa d’avorio si è lasciato convincere dai “passeurs” e decide di affrontare la strada più pericolosa degli ultimi anni. Allora lo sfortunato informa i volontari che finanzieranno il viaggio. All’epoca tutti erano convinti che potesse andare bene e che fosse un investimento, ognuno degli amici e famigliari partecipa al finanziamento del viaggio.
Kalifa purtroppo è stato imprigionato due volte e torturato ripetutamente in Libia, è stato costretto a chiamare i suoi finanziatori per farsi mandare dei soldi ed essere liberato. Alla fine il giovane ha deciso di accettare la proposta degli agenti dell’oim, di rientrare con il rimpatrio volontario assistito senza informare né i suoi famigliari né i suoi amici finanziatori.