Immaginate di non poter uscire in tempo da casa per andare a prendere vostra figlia a scuola. Immaginate di trovarvi poi in un traffico pazzesco. Immaginate allora che il vostro cellulare ha la batteria scarica e non riusciate ad avvertire le maestre del vostro ritardo. Immaginate qualsiasi altra ragione per la quale non siate in grado di arrivare in orario all’uscita dei bambini; e immaginate infine che quando finalmente siete davanti alla scuola, vi troviate davanti a un cancello chiuso e con nessuno nei pressi. La scuola l’ha lasciata fuori, sola e incustodita. Hanno chiuso porte e finestre e se ne sono andati via tutti. Dov’è allora mia figlia?
Siamo a Città del Messico. La bambina si chiamava Fatima, aveva sette anni. Era l’11 febbraio scorso. La madre è arrivata con venti minuti di ritardo, e tanto è bastato perché la rapissero. Hanno ritrovato il suo corpicino una decina di giorni dopo in una scarpata di periferia, nei pressi dell’Alcaldìa Tlahuac. L’hanno torturata, violentata, uccisa e buttata in un sacchetto dell’immondizia. I suoi genitori non sono stati in condizione di riconoscerla; è stato necessario l’esame del Dna per confermare la sua identità. Si cerca il carnefice e le autorità di Città del Messico offrono centomila euro a chi possa fornire informazioni per catturare i colpevoli. Ma in Messico Fatima non è la prima né sarà l’ultima vittima della violenza maschile.
Secondo Amnesty international, nel 2019 il Messico si è “meritato” il primo posto a livello mondiale per casi di violenza infantile: lo stesso desolante primato per quantità di casi di abuso infantile gli è stato attribuito dai rilevamenti congiunti di Unicef e Ocse. E sempre dai dati di Amnesty international, il Messico è risultato il paese con più femminicidi a scala continentale, il paese dov’è più pericoloso nascere donna.
L’ultimo sconvolgente caso di femminicidio riguarda una ragazza di 26 anni, Ingrid Escamilla, uccisa atrocemente del suo convivente e doppiamente brutalizzata perché le drammatiche immagini del pestaggio omicida sono state incredibilmente e sadicamente diffuse. Il filmato era in possesso della polizia e faceva parte del materiale probatorio, depositato (e secretato) in tribunale, ma è stato ugualmente postato e trasmesso sui social network e su numerosi siti, oltreché stampato sui periodici nei fotogrammi più violenti. Un’illegalità inaudita. Con tutta evidenza, di quelle immagini sono state realizzate copie da vendere sul mercato degli sciacalli, senza alcun rispetto per la vittima e per i suoi familiari. E i responsabili di questa oscena compravendita non possono che essere poliziotti corrotti.
Lo scandaloso episodio ha indotto la Generale di giustizia di Città del Messico, Ernestina Godoy, a presentare un progetto di legge, immediatamente definito “Ley Ingrid”, che prevede fino a 16 anni di reclusione per funzionari che appartengano a qualsivoglia istituzione pubblica e 12 per quelli che non vi appartengano per chi diffonda informazioni e immagini vincolate da segreto istruttorio nei processi per femminicidio. Mentre la governatrice della capitale messicana, Claudia Sheimbaum, ha invocato una “punizione esemplare” per gli spacciatori di immagini violente e ha invitato il sistema mediatico a una maggiore responsabilità civile.
Perfino il presidente della repubblica, il populista Andres Manuel Lòpez Obrador, si è preso una pausa dalla sua grottesca pantomima sulla vendita dell’aereo presidenziale, dichiarandosi indignato per l’accaduto e sostenendo che tutta questa violenza contro le donne ha origine nella decomposizione sociale messicana, provocata dai modelli neo-liberisti dei suoi predecessori.
Ma la protesta più efficace (e sincera) è stata quella delle donne che in questi giorni sono uscite di nuovo per le strade, più determinate e rabbiose di prima. Donne di tutte le età, con in prima fila le madri delle tante ragazze e bambine scomparse, rapite e forse uccise. Dopo le manifestazioni dello scorso novembre, sono tornate a radunarsi e a “marchiare” con le polveri colorate i monumenti sparsi per la città: lottano per difendersi e per difendere il loro paese.
In Messico ogni giorno vengono uccise 26 donne. Dall’inizio di quest’anno, le vittime di femminicidio, dalla bambine alle anziane, sono già 226.