Il sottile razzismo delle adozioni internazionali

Secondo i dati del 2014 elaborati dal Ministero degli esteri dell’Ecuador, 1400 bambini ecuadoriani erano inseriti in un percorso di segnalazione familiare da parte degli assistenti sociali, disponibili cioè al processo di adozione. Di questi, ben 152 erano già sotto la tutela dello stato italiano, in fase di trasferimento adottivo, mentre 66 erano già stati consegnati a famiglie che avevano chiesto di adottarli. Sono dati che, seppur limitatamente al paese centramericano, segnalano come anche a scala geografica più larga, la custodia di bambini da parte di genitori stranieri è numericamente significativa.

   Una tendenza che, peraltro, non riguarda l’infanzia del solo terzo e quarto mondo, ma si è sensibilmente intensificata anche nei paesi nord-occidentali, come, per esempio in Italia, il recente caso di Bibbiano ha drammaticamente segnalato.

   Secondo Marisol Toral, che ha creato l’Associazione latino-americana Madres Coraje, già nel 2014 lo Stato italiano aveva preso in custodia circa 50.000 bambini, la maggior parte dei quali figli di madri straniere, sottratti a queste ultime e affidate ai padri grazie a un sistema socio-burocratico complice e corrotto. Spesso tali bambini vengono allontanati dalle loro madri senza un accurato processo giudiziario, né un sufficiente approfondimento psicologico.

   In una riunione del novembre scorso presso la sede dell’Enar (Rete europea contro il razzismo), a Bruxelles, associazioni brasiliane come Revibra (Rete di supporto europea per le vittime brasiliane di violenza domestica), Cabe (Commissione a sostegno delle donne brasiliane all’estero) e Maes de Haia hanno messo in evidenza ripetuti casi di perdita genitoriale di bambini brasiliani binazionali. Si è notato che diversi giudici europei, nelle loro sentenze, sostengono che le madri brasiliane soffrano di problemi mentali, in particolare di tipo “schizofrenico”. Anche l’Associazione ecuadoriana Madre Coraje ha segnalato la reiterazione di simili processi, a causa dei quali i bambini venivano allontanati dalle madri senza un’adeguata valutazione psicologica, basandosi esclusivamente sul fatto che, in quanto straniere, meno capaci di far crescere i lori bambini.

   Per contrastare questa generalizzata ingiustizia, si potrebbe ricorrere alla Convenzione dell’Aia sugli aspetti civili del rapimento internazionale di minori. Ma il considerevole numero di casi irrisolti, a causa della sua inapplicabilità in situazioni pratiche e della costante inosservanza delle decisioni giudiziarie che non si basano sul principio del superiore interesse del minore, indica fortemente la necessità di aggiornare il suo testo. I principali limiti nei suoi dispositivi che ostacolano la giusta risoluzione dei casi di rimozione illegale dei minori sono tanti e rivelano non pochi casi di razzismo istituzionale contro il genitore straniero.

   Fino alla metà degli anni settanta, la maggior parte dei casi di rapimento erano commessi dal padre del bambino. Dopo la scomparsa del figlio, le madri intentavano azioni legali dinanzi alle Corti dei paesi in cui risiedevano con il bambino, chiedendo il loro ritorno, sia in vista delle decisioni che garantivano la custodia del bambino, sia mirando all’accesso e al ripristino della vita familiare. Ma i diversi tentativi di negoziazione tra paesi volti a riportare il bambino nel paese in cui risiedeva con la madre erano quasi sempre frustrati. In molti casi, i genitori hanno presentato azioni simultanee nel paese in cui hanno trattenuto il bambino, ottenendo sulla custodia legale decisioni giudiziarie in contrasto con le precedenti decisioni in vigore nello stato di provenienza. In altri casi, il bambino non è stato nemmeno rintracciato, per la mancanza di esperienza delle autorità o perché queste ultime non dedicavano sforzi sufficienti.

   Ed è stata proprio l’incidenza sempre più significativa del numero dei casi di rapimento di minori a indurre gli Stati a promuovere la Conferenza dell’Aia, dove è stato concordato un trattato con l’obiettivo di raccogliere norme procedurali uniformi nei rispettivi paesi membri per risolvere i conflitti derivanti dalle decisioni delle autorità giudiziarie.

La Convenzione ha compiuto enormi progressi nel sostenere i bambini vittime del ritiro illegale, unificando e standardizzando le norme. Tuttavia, è stato osservato che il trattato presenta gravi lacune e limitazioni che compromettono e, molte volte, rendono impossibile la giusta risoluzione dei casi. Casi che riguardando soggetti in una fascia d’età fragile e sensibile, se risolti con decisioni irragionevoli, possono causare danni irreparabili allo sviluppo dei bambini.

   Tanto l’applicazione del trattato dell’Aia, quanto il ritiro della custodia di un bambino in favore di un genitore nazionale o di un Stato senza un giusto e accurato processo, rischiano in ogni caso di configurare un sistema politico-giudiziario d’impronta razzista. Una tendenza secondo cui i cittadini del primo mondo sono a priori quelli più in grado di far crescere un bambino in un ambiente migliore, sol perché in un paese “sviluppato”. 

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