Cronache dalla quarantena bergamasca

Il 22 di febbraio i cittadini di Somaglia, un Comune in provincia di Lodi, hanno ricevuto un comunicato con cui il sindaco Angelo Caperdoni informava sulle prescrizioni di contrasto al Covid-19, imponendo di rispettarle obbligatoriamente. Stessa procedura era scattata per altri dieci Comuni: Vò, Codogno, Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo, San Fiorano. E’ cosi che nel Lodigiano si è delimitato il primo focolaio infettivo nel territorio italiano, lo stesso che proprio in questi giorni, dopo le severe restrizioni subite, sta in pratica azzerando il contagio. Ed è proprio alla luce dei suoi risultati positivi, che da giovedì 12 marzo tali restrizioni sono state stabilite sull’intero territorio nazionale: va da sé che la speranza è che anche a scala più grande gli esiti risultino felicemente gli stessi. 

   Quello che segue è il racconto di quanto accaduto in due paesi della provincia di Bergamo confinanti con la prima zona rossa, Nembro e Alzano Lombardo.

   Il primo allarme è arrivato con l’ordinanza di quasi tutti i sindaci della Bergamasca con cui venivano annullate tutte le manifestazioni pubbliche. E’ la domenica del 23 febbraio. In tutta la provincia erano state organizzate numerose feste di Carnevale: tutte cancellate. A questa decisione è seguita una reazione di sconcerto, tra il disappunto e il rammarico. Ma è bastato che si diffondesse la notizia del primo caso positivo, con il relativo ricovero nell’Ospedale Bolognini di Alzano, per placare le proteste. Il coronavirus era arrivato e in quello stesso pomeriggio l’intera provincia di Bergamo verrà dichiarata zona gialla.

   E’ il secondo focolaio virale ma le misure prescritte sono solo simili a quelle del primo, più elastiche, meno severe. Non si prevede il divieto di circolazione né la chiusura degli esercizi commerciali, ma s’invitano i cittadini a essere ragionevoli e uscire solo per lo stretto necessario ed evitare i luoghi affollati. Si spengono le luci delle chiese, si mettono lucchetti alle scuole, ai musei, alle biblioteche. S’intuisce che il prossimo passo è essere dichiarata zona rossa. In molti si lamentano e addirittura accusano il governo di decisioni “dittatoriali”, ma nello stesso tempo si corre ai supermercati, si svuotano le strade, ci si chiude in casa. Nembro e Alzano Lombardo, insieme, sommano circa di 26 mila abitanti. A differenza del territorio di Lodi, che si sviluppa in pianura, i due Comuni distendono i loro territori nella Val Seriana, e questo rende più complessa la gestione del territorio.

   Ogni ora che trascorre da quella mattinata domenicale è scandita dai numeri dei contagiati, dei ricoverati, dei decessi. Ma nonostante questi dati allarmanti circolano ancora critiche, accuse, proteste contro il governo. Echeggia qua e là, con disperante idiozia, lo slogan “Bergamo non si ferma”: l’economia è più importante della salute e non si può mostrare l’immagine del bergamasco che smette di produrre perché ammalato. E non a caso, anche in questi giorni, continuano i contagi e i decessi, al punto di configurare proprio la provincia di Bergamo come quella attualmente a più alto tasso di mortalità. Con gli operai che scioperano perché obbligati a lavorare da padroni e padroncini, tanto cinici quanto irresponsabili.

   Ma in quell’ultima settimana di febbraio si vive in compagnia dell’angoscia, in una sorta di terrore psicologico. Giorno dopo giorno si attende quella dichiarazione di zona rossa che tuttavia non arriva. Intanto cresce il numero dei morti e tra i malati cominciano a esserci persone che si conoscono. I medici sono pochi, alcuni in quarantena. Le visite mediche ordinarie si fanno al telefono, le ricette si spediscono via mail. Ma quel che è peggio è che non si può più andare al pronto soccorso e i tamponi sono finiti. La sensazione è che il coronavirus si diffonda insomma indisturbato e colpisca incontrastato: fino a raggiungere il sindaco di Nembro, Claudio Cancelli.

   E’ il punto di svolta. Le pressioni politiche per imporre le stesse restrizioni del Lodigiano diventano massicce, dal vertice della Regione Lombardia, ai prefetti dei diversi capoluoghi, ai sindaci di tutti i paesi, all’insieme dei cittadini sempre più impauriti. E finalmente il governo emana il decreto che dichiara zona rossa l’intera regione e altre 14 province a essa confinanti. Per convincersi dopo solo pochissimi giorni a estenderla all’intero territorio nazionale.

   E’ una pandemia terrificante quella che si sta sviluppando ormai sull’intero pianeta. Il nord dell’Italia ne è oggi il focolaio più pericoloso. Va osservato con attenzione per capire come questo maledetto virus si diffonde e colpisce, e per non ripetere gli errori prudenziali che sono stati commessi.

   Qui in Valseriana si combatte ogni giorno: e quando si accende la tv e si vedono le immagini del proprio paese in emergenza sanitaria, sembra di essere in un film apocalittico. Le ditte di consegna di merce non vogliono effettuare gli ordinativi perché ormai è un territorio segnato, si vive insieme al suono ininterrotto delle sirene delle ambulanze che vanno avanti e indietro tutto il giorno e tutta la notte, le campane delle chiese che suonano ogni volta che si può celebrare un funerale, sebbene debba  essere celebrato in privato, i medici negli ospedali che, come fossimo in guerra, devono scegliere la persona con più probabilità di sopravvivenza per razionare i pochi respiratori che sono a disposizione, le famiglie che non riescono a salutare i loro cari deceduti perché dal momento in cui arrivano all’ospedale vengono messe in isolamento.

   In tanti non riescono a uscire da casa perché anziani o invalidi, ma ci sono anche volontari che li assistono portando cibo e medicine. I pochi negozi ancora aperti hanno messo cartelli con la scritta “TUTTO ANDRA’ BENE”. C’è Maria che ha creato #abbraccidirittialcuore, invitando tutti ad accendere una candela. Ci sono i preti che celebrano le messe in streaming per portare conforto nelle case. Ci sono i bambini che disegnano arcobaleni e li appendono sui balconi. C’è Federico che ha uno studio di tatuaggi e si è messo a regalare mascherine. Ci sono i farmacisti che sono diventato i nostri medici, facce da guardare per rassicurarci. E poi ci siamo tutti noi che facciamo quel che possiamo, che resistiamo, che speriamo passi presto questo incubo crudele.

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