Riconoscenza e riconoscimento per i braccianti stranieri

In questa acutissima crisi pandemica i braccianti sono gli eroi ignorati.

   Il ciclo della produzione agricola si regge quasi esclusivamente sul lavoro dei braccianti stranieri: sottopagati, sfruttati e costretti a condizioni lavorative disumane. Sono stati i migranti a svolgere quel lavoro vitale che ha permesso finora di fornire gli alimenti necessari al fabbisogno sociale, oltreché approvvigionare l’industria della trasformazione.

   Ma oggi la mancanza della manodopera straniera nelle campagne sta rischiando di compromettere i raccolti, con la conseguente mancanza di generi alimentari sul mercato e di materia prima per il trattamento e la conservazione. Di tale avviso, sembra essere anche la ministra dell’agricoltura, Teresa Bellanova che, in un’intervista, ha spiegato che “senza le braccia degli immigrati nei campi è a rischio la catena alimentare”.

   Un allarme raccolto da Matteo Orfini, capogruppo del partito democratico alla Camera, che ha proposto di favorire l’emersione del lavoro sommerso, riconoscendogli diritti e garanzie, nonché la necessità di svuotare gli insediamenti rurali informali che potrebbero trasformarsi in bombe sanitarie pericolose . Una proposta che si articola su tre punti: “Fornire permessi di soggiorno che consentano di lavorare regolarmente”; “organizzare l’evacuazione delle persone che vivono nelle baraccopoli”; “realizzare strutture informatiche di collocamento agricolo”, al fine di abbattere i rischi del caporalato.

   A ben vedere, non si tratta di offrire misure assistenziali, ma assumersi la responsabilità di queste persone da un punto di vista delle sicurezze lavorative, abitative e di riconoscimento sociale.

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