Io e le forze dell’ordine: un rapporto complicato

L’altro giorno mi hanno clonato la carta e rubato €800,00. Ho subito contattato l’assistenza clienti della mia banca per procedere con il suo blocco. L’operatrice telefonica, dopo avermi assistito con tutte le procedure standard, mi ha suggerito, subito di recarmi dalle forze dell’ordine per sporgere formale querela. Quindi come da sue indicazioni, mi sono presentato alla caserma dei carabinieri per presentare una denuncia.

            Dopo aver scaricato e formalizzato i moduli rilasciati dalle istituzioni, per giustificare il motivo del mio spostamento da casa, sono arrivato a destinazione grazie agli ormai super efficienti mezzi dell’ATAC. Appena arrivato mi ha accolto un Tenente della caserma; con un tono di voce infastidito e anche un po’ minaccioso, aprendomi l’entrata mi ha sbattuto subito in faccia, un “Che vuoi?”. Ormai la mia esperienza con le forze dell’ordine negli ultimi anni, mi ha insegnato sempre qualcosa, il colore della mia pelle, sottolinea ufficialmente un pericolo istituzionale, sdoganato da una politica becera, che mi crocifigge come un soggetto inerte, cattivo e negativo, e di qualcosa di preoccupante per la sicurezza pubblica. Con questo in mente, ho seguito a esporgli il motivo della mia presenza. Con quello sguardo minaccioso che diventava sempre più cupo e severo, mi ha indicato con le mani la volontà di avanzare verso l’atrio della caserma. Una volta dentro, e dopo avermi identificato, mi ha accompagnato dentro la sala denunce per ascoltare la mia versione. Durante il mio esposto, nella quale ricostruivo i fatti accaduti, la faccia piena di angoscia e rancore nei miei confronti, cominciava subito a prendere un’altra strada, quella di uno stato di sorpresa e di confusione. Il caro Tenete, non poteva credere, che la persona, che cinque minuti fa aveva deriso e ridicolizzato, potesse esprimersi in italiano, ma non solo in un italiano basico, ma un italiano dove le frasi combaciavano congruamente fra di loro, dove la sintassi linguistica composta da una proposizione subordinata condizionale, esprimeva i meri fatti accaduti: quando io non avevo dato nessun consenso a nessuna transazione con la mia carta di credito. Il caro Tenente rimasto scioccato pure dalla mia capacità intellettiva e conoscenza giuridiche sul caso accaduto, cercava subito di riportare la palla sul suo campo. 

            Una volta concluso l’esposto, e formalizzato la querela nonché messo agli atti tutto quello accaduto, mi sono permesso di ricordare all’ufficiale di trascrivere e allegare alla denuncia il mio estratto conto che avevo stampato e portato con me, nella quale tra l’altro avevo evidenziato l’uscita riportata dai canali bancari. Appena notato il saldo netto attivo, riportato sul documento ufficiale, il Tenente è subito ritornato sulla sua posizione, molto dubbiosa della mia persona, infuocata da un calore spingente di pregiudizio che gli si leggeva in faccia; ruotando i suoi occhi castani e guardandomi negli occhi, stretti, mi porgeva la domanda:” ma lei che lavoro fa?” “come mai ha questa somma di denaro sul suo conto corrente?” come se, dalla sua espressione voleva trasmettere, l’idea che forse, il mio essere, il colore della mia pelle non potesse combaciare con quello che c’era scritto sulla documentazione reddituale che teneva in mano. Sentendomi dentro l’ambaradan fra i miei pensieri che si combattevano fra di loro, un po’ umiliato da una certa domanda che probabilmente a un mio coetaneo italiano non avrebbe posto, ho proseguito con la spiegazione che avevo un contratto regolare con un’azienda privata, quindi risultando un lavoratore di fatto. 

Ma non era convincente per il caro Tenente, quindi ha proseguito trattenendomi e trasferendomi in un’altra sala della caserma per controllare se quello che dichiaravo era vero. Umiliato dentro, sentendomi privato dei miei diritti, ho deciso di accogliere e seguire gli ordini. Per i prossimi quaranta cinque minuti, da solo in una stanza, finché ritornasse a galla la verità che avevo dichiarato, confermate da un soggetto estraneo a me stesso. In questi minuti ho avuto modo di riflettere, su tutto! Insomma, alla fine se lavoriamo, paghiamo le tasse e guadagniamo, pure noi il pane siamo quelli che rubano il lavoro, quelli che anche se, prodotti onestamente i nostri redditi, producono sospetto, un qualcosa frutto di un’illegittimità legale che punge sempre a indagare; invece se non lavoriamo siamo quelli mantenuti, i mangia pane a tradimento, i parassiti che succhiano il welfare sociale come una zanzara!  

 Dopo aver avuto finalmente la mia libertà, quella concessa dopo un giro di chiamate per identificare la regolarità del mio lavoro svolto, ho riflettuto a lungo sui motivi che hanno spinto un pubblico ufficiale, un militare a trattarmi in quel modo. I motivi che li hanno spinto a non vedermi come un regolare cittadino, ma qualcosa di pericoloso, quindi da trattare con cautela e molta superficialità. 

Mentre lasciavo la caserma e chiudevo il portone d’ingresso, per finalmente riavviarmi tra le mille preoccupazioni che mi aspettavano nella vita quotidiana: ho sognato un sogno, come quelli che avevano le stesse mie origini hanno sognato dall’altra parte dell’Oceano sessanta anni fa sul campidoglio del Lincoln Memorial: un’Italia degna, che tratta le persone non in base al colore della pelle ma per il suo carattere che lo forma! I have a dream today!    

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