L’eredità colonialista della Rivoluzione dei garofani

Il 25 aprile è una data commemorativa anche in Portogallo, è l’anniversario del giorno che nel 1974 segnò la fine della dittatura di Marcelo Caetano. Come ricordano i portoghesi, il garofano rosso divenne il simbolo di quella rivoluzione. Fu un’operaia di Lisbona, Celeste Caeiro, che all’alba di quel 25 aprile iniziò a regalare garofani rossi ai primi soldati che arrivarono in città: finirono nelle canne dei fucili e cominciò così la “Rivoluzione dei garofani”.

Democratizar (Democratizzare), Desenvolver (Sviluppare), Descolonizar (Decolonizzare). Furono le tre D su cui s’intendeva imperniare il futuro del paese. Ma mentre le prime due si affermarono nei successivi programmi politici, sulla terza prevalsero ambiguità e reticenze. Come ricorda il Nucleo antirazzista di Coimbra (la città universitaria più tradizionale nella storia dei territori di lingua portoghese), gli eventi del mese di aprile ’74 sono stati essenzialmente dominati da silenzi enigmatici e narrazioni negazioniste, ancorate all’impossibilità di pensare alla democratizzazione se non come un’imposizione neo-liberale, invece di un processo generato e animato da lotte di liberazione. (cfr. Democracy and democratization in Africa: interrogating paradigms and practices, Issa Shivji, novembre 2011).

Nei dibattiti post-coloniali, si afferma che spesso i portoghesi trascurano che i processi di decolonizzazione di Angola, Capo Verde, Guinea-Bissau, Mozambico e São Tomé e Principe sono stati prodotti soprattutto dalle lotte politiche dei movimenti di indipendenza e liberazione di quei paesi. La maggior parte di quelle popolazioni aveva un rapporto conflittuale con l’autoritarismo dello stato coloniale portoghese, e lungo il secolo scorso più volte si mobilitarono contro il regime dittatoriale di Lisbona, il più resistente ai cambiamenti politici: il Portogallo è stato l’ultimo paese europeo a mantenere colonie in Africa. 

Come non ricordare il massacro di Baixa de Cassange, del 4 gennaio 1961, quando i militari portoghesi uccisero migliaia di contadini angolani, oggi celebrato in Angola come il “Giorno dei martiri della repressione coloniale”. Oppure l’Operazione Nó Górdio del 1970, diretta da Kaulza de Arriaga (comandante delle forze di terra in Mozambico), che provocò la morte di 651 guerriglieri mozambicani e la cattura di oltre 1840 persone. E ancora, l’Operazione Mar Verde, del 22 novembre 1970, quando Alpoim Calvão (ufficiale delle forze armate portoghesi), sostenuto da António Spínola (primo presidente della repubblica portoghese dopo il 25 aprile 1974), sferrò un cruento attacco alla base militare del Paigc (Il partito africano per l’indipendenza della Guinea e Capo Verde).

Tutte queste persecuzioni segnarono l’isolamento del Portogallo nella comunità internazionale, per il suo tentativo di voler mantenere le colonie a tutti i costi. Al contrario della diffusa solidarietà nei confronti di quei popoli in lotta. Amílcar Cabral, l’ideologo dell’indipendenza della Guinea-Bissau e di Capo Verde, è considerato tra i più grandi leader mondiali di tutti i tempi. In un recente rapporto redatto dall’Ufficio studi della Bbc, Cabral viene descritto come il “combattente per l’indipendenza africana” che mobilitò più di un milione di guineani per liberarsi dall’occupazione portoghese, un’azione che portò altri paesi africani a lottare per la propria indipendenza.

L’assenza di contro-ricordi su questo periodo di sangue nella narrativa ufficiale del Portogallo post-rivoluzionario pone alcune domande storiche tuttora senza risposta: quali discorsi di giustizia, libertà e rivoluzione furono divulgati per sostenere che la rivoluzione dei garofani fu un evento pacifico senza sangue? Quali leader (di libertà e liberazione) vengono dimenticati e ignorati quando si rende omaggio ai capitani dell’aprile 1974 da una prospettiva centrata solo in Portogallo? Quali storie vengono messe a tacere quando la narrazione ufficiale sostiene che le guerre di liberazione finirono con un colpo militare di sinistra a Lisbona, che rovesciò il regime statale coloniale e dichiarò immediatamente la sua intenzione di garantire l’indipendenza delle colonie africane?

Dopo 46 anni il governo portoghese continua a utilizzare il concetto di “razza” e i gruppi di migranti neri continuano a lottare per evitare la segregazione razziale sistematica e superare le politiche migratorie razziste. C’è ancora il bisogno di garantire il riconoscimento dei diritti di tutti i cittadini nati nel territorio nazionale, anche se di provenienza da famiglie delle ex-colonie, e prevenire la violenza razzista da parte della polizia di stato.

Pensare al 25 aprile ci impone di mettere in discussione la versione storica ufficiale, che continua a essere distorta per offrirci una lettura politica unitaria. Qualsiasi data commemorativa, in questo senso, deve avere la responsabilità sociale e politica di considerare le disuguaglianze socio-razziali come eredità del colonialismo e del commercio transatlantico di schiavi. Non da ultimo, come sostengono gli attivisti del Nucleo antirazzista di Coimbra, dobbiamo anche considerare che le popolazioni africane e le loro diaspore partecipano liberamente alla stesura delle loro storie e che è necessario riconoscere il saccheggio fisico, simbolico ed economico a cui sono state sottoposte per secoli.

“Ci chiederanno se il colonialismo portoghese non ha avuto un’azione positiva in Africa. La giustizia è sempre relativa. Per gli africani, che per, cinque secoli, si sono opposti al dominio coloniale portoghese, il colonialismo portoghese è (stato?) un inferno; e dove c’è il male, non c’è posto per il bene “. Amílcar Cabral. 

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