Il corpo che galleggia, Adamastor e l’indifferenza

Nelle culture di origine portoghese, la figura del Gigante Adamastor è ben nota come lo spirito delle tempeste che fa affondare gli uomini che osano attraversare il mare. Per questi uomini, il gigante, nell’opera I lusiadi del portoghese Luis de Camoes, afferma che “il male minore sarà la morte”. E cosa c’è di peggio della morte che galleggiare per più di 15 giorni in mare, con il diritto alla memoria e il corpo massacrati dai pesci e dall’abbandono?

Se, in passato, il mostro Adamastor viveva nel “capo delle tempeste”, oggi sembra che si sia trasferito nel Mediterraneo, dove si concentra il 75% dei decessi mondiali per migrazione. Il suo voto di vendetta, di pene peggiori della morte, oggi è il simbolo dell’indifferenza che l’Europa destina ai profughi. Diceva Gramsci, nel febbraio del 1917, che “L’indifferenza è il peso morto della storia. (…) Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza”. Possiamo aggiungere che l’indifferenza non solo soffoca l’intelligenza, ma tutti i nostri diritti sia in vita che in morte.

Per quattro volte in due settimane, i piloti di Seabird, l’aereo della Ong tedesca Sea Watch, hanno avvistato un gommone grigio con un corpo senza vita di un uomo con la carnagione chiara, con le gambe penzoloni divaricate. Da allora, il personale della ONG ha lanciato quattro alert con le coordinate, fornite ai centri di coordinamento delle guardie costiere di Tripoli, Malta, Roma, indicando la posizione di questo uomo nelle acque internazionali, zona Sar libica, però tuttora senza nessun intervento di riscatto. 

Non sappiamo l’identità dell’uomo, ma basterebbe sapere questo: è un uomo. Nelle immagini non vediamo il suo viso, ma vediamo la testa incastrata tra i due tubolari del gommone, la testa incastrata tra il sogno e l’indifferenza. 

Il corpo di una persona che ha amato. Probabolmente c’è una famiglia che aspetta ancora sue notizie. Un individuo che un giorno si è alzato di mattina e ha guardato il mare, con paura, ma con la speranza di vivere un futuro migliore, in Europa. Con la voglia più grande del mondo di vincere l’orrore, nonostante sia stato, alla fine, proprio l’orrore ad accompagnare il suo ultimo sguardo tra i vivi. 

Come ricorda Benedetta Tobagi, sul quotidiano La Repubblica, “con lui va alla deriva la pietas di un Occidente che aveva tra i valori fondativi della propria cultura quel principio di dare sepoltura ai corpi”. Tobagi ci ricorda il valore detto “europeo” (direi quasi universale) di concedere all’altro un funerale, come la pace temporanea concessa da Achille, nella guerra di Troia, a Priamo quando va a prendere il corpo del figlio morto, Ettore. Oppure quando Antigone fa il suo itinerario. A queste due figure della mitologia greco-romana citata dalla giornalista, possiamo aggiungere il mito tutto italiano del Milite Ignoto, che proprio celebra l’altare della Patria. 

E, se pensiamo a quest’uomo che galleggia ancora nel mare e al suo corpo non salvato, possiamo osservare questo paese contraddittorio, che lo lascia alla deriva perché è un corpo senza identità … ma che onora lo spirito dell’Italia sul mito di un giovane soldato ignoto: anche questo un corpo non identificato, ma la fiamma letteralmente eterna del simbolo della nazione.

Cosa rende questo profugo senza nome meno umano che il nostro milito ignoto? Avere combattuto in guerre diverse dalla nostra? Il fatto che forse non sia italiano?

Da quando la mancanza di certezza sulla nazionalità di qualcuno ci allontana dalle nostre responsabilità di riconoscere l’altro come un essere vivente? Quale sarebbe il difetto di quest’uomo se, come ricorda il medico Pietro Bartolo, l’anno scorso la Guardia Costiera è andata a prendere una pecora a 24 miglia a largo di Lampedusa? Quale sarebbe il crimine commesso da quest’uomo che lo ha condannato ad avere meno valore che un piccolo animale?

Non è solo la dimensione del gigante Adamastor che ci fa sentire piccoli oggi, ma la nostra incapacità di riconoscere in noi il dovere di aiutare l’altro in quanto essere umano, anche se ha già lasciato questo mondo.

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