Messico ’68 e le ombre nascoste dai giochi olimpici

Una donna, l’atleta e campionessa di corsa messicana Enriqueta “Queta” Basilio, fu la tedofora incaricata di fare i 90 gradini che portavano ad accendere la fiamma olimpica, per la prima volta nella storia delle Olimpiadi, mani femminili hanno portato e acceso la fiamma olimpica il giorno dell’inaugurazione dei giochi olimpici iniziando così la storica gara sportiva nella città del surreale, Città del Messico.

Una mossa azzardata e studiata per nascondere un’altra, anche sé, per la prima volta la celebrazione dei giochi era organizzata da un paese ispanico e in via di sviluppo, in una città a 2,240 metri sopra il livello del mare, e questo metteva agitazione ai diversi comitati sportivi, timorosi che gli atleti non potessero dare il massimo per la scarsa qualità e quantità di ossigeno ad una quota cosi alta. Alla fine la realizzazione progettata si è avverata nell’autunno dal 12 al 27 ottobre, era l’anno 1968 e l’edizione XIX delle Olimpiade si rivelava già una edizione molto particolare, a cominciare dal fatto che la partecipazione della delegazione sudafricana fu vietata e no fu invitata a partecipare a causa de l’apartheid e le sue politiche razziste, la Germania frazionata ha partecipato come due paesi indipendenti uno da l’altro, poi altri piccoli paesi come El Salvador e Kuwait hanno fatto il loro debutto nei giochi. Questi gesti cercavano di dire al mondo che Messico era un paese con un passo avanti, moderno, dove prevaleva la democrazia, la libertà, la non discriminazione e promuoveva la pace, un messaggio molto lontano della vera realtà di autoritarismo e repressione che copriva il paese, la stessa che è uscita a galla con l’espulsione dal villaggio olimpico dei velocisti afroamericani vincitori dei 200 metri dopo che hanno lanciato un segnale di protesta al mondo; Tommie Smith e John Carlos indossando ognuno un guanto nero al momento di dirigersi al podio a ricevere le proprie medaglie, abbassarono la testa e innalzarono il braccio con il pugno chiuso (caratteristico del movimento Black Power) nel momento in cui il loro inno nazionale ha cominciato a sentirsi nello stadio olimpico, entrambi portavano un badge del movimento per i dritti degli sportivi afroamericani negli Stati Uniti il Progetto Olimpico per i Diritti Umani (OPHR le sue sigle in inglese). Subita l’espulsione dai giochi, Carlos e Smith hanno ricevuto minacce e l’annullamento delle loro carriere. Insieme a loro, e anche lui con un distintivo della OPHR, c’era l’australiano Peter Norman che dopo del supporto offerto ai suoi colleghi nordamericani, ha subito la cancellazione della sua vita agonistica e degli annali della storia sportiva in Australia.

Un momento storico e contraddittorio, trascinato dalla situazione politica mondiale tesa, piena di proteste, come la primavera di Praga, il maggio francese, guerre e carestie in Biafra e Vietnam, gli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy, l’invasione Cecoslovacca per l’Unione Sovietica, le comparse di guerriglie latinoamericane e per di più la rivolta studentesca in Messico che il governo messicano cercò di oscurare ad ogni costo pur di non mettere a rischio la realizzazione delle Olimpiadi né la sua promessa di sviluppo economico. Si cercava di fare vedere il Messico come un paese all’avanguardia nascondendo gli atti violenti del governo sotto il tappeto dell’omertà, omertà sfidata dalla presenza di un aquilone a forma di piccione nero che svolazzava a l’inaugurazione della gara sportiva sopra la testa del presidente Ordaz, un aquilone per non dimenticare che solo dieci giorni prima dell’inaugurazione dei giochi, furono assassinati centinaia di studenti nella piazza delle Tre Culture nel quartiere Tlatelolco, in città del Messico.
Il 2 di Ottobre, quella piazza si bagnò di sangue, c’era un manifestazione di studenti che protestavano in maniera pacifica, famiglie con bambini, operai, personale docente, attiviste, osservatori e giornalisti internazionali come Francisco Ortiz Pinchetti del giornale messicano Excélsior, Oriana Fallaci da L’Europeo, John Rodda di The Guardian dalla Inghilterra e dalla Francia ci sono Charles Courrièrre dell Paris Match, Fernand Choisel di Europa Uno, Phillipe Nourry di Le Figaro, tra altri, per testimoniare il movimento degli studenti. Alle 17:55 delle luci rosse sparate dall’edificio del Ministero degli esteri, segnalano l’entrata dell’esercito e del gruppo di choc Olimpia, cominciarono a sparare sulla moltitudine. La stessa Fallaci risultò ferita e centinaia di persone furono massacrate quel giorno, una notte rossa che non sembrava avere un finale e che viene nascosta con lo svolgimento delle Olimpiadi, segno dell’ipocrisia istituzionale e degli interessi economici dei governi sopra la libertà del popolo.

Quell’ottobre “NON SI DIMENTICA” perché non si devono dimenticare i figli delle lotte politiche caduti per la ricerca di libertà.

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