“SIAMO TROPPO PICCOLI PER PERDERE DI VISTA LA PROSPETTIVA DEGLI ALTRI”.

Queste le prime parole di Jacinda Ardern dopo la vittoria in Nuova Zelanda con il 50% dei consensi. Una figura femminile tra la linea di Justin Trudeau e Bernie Sanders non è il completamento di un puzzle ma la conferma che è tempo di donne di inclusione ed ecologia. Avere trentasette anni e governare una nazione con l’intento primario di sradicare la povertà entro due anni e mezzo può sembrare utopistico per i più scettici ma rappresenta la volontà di un’istituzione che crede realmente in obbiettivi da raggiungere per i molti e non per i pochi come sanciva lo slogan di Corbyn ex leader laburista inglese.

 Vincere per la seconda volta in tre anni confermando il titolo della più giovane donna a capo di un governo al mondo, 64 seggi sui 120 del Parlamento per poter formare un governo da sola. La sua agenda politica ha un’impronta decisiva per quanto riguarda i diritti sociali e civili, ha messo al centro temi fondamentali che seguono il passo dei cambiamenti in termini di progressività, di emergenza climatica ed emergenza sociale. Dopo la crisi economica in Nuova Zelanda si è sentito il bisogno di un cambiamento che ripristinasse l’idea del politico inteso come ponte reale tra società e bisogni, trovare soluzioni a problematiche senza troppi giri di parole ma con fatti ben saldi. L’elettorato ha trovato in Jacinda Ardern quella ventata di freschezza che mancava da tempo e soprattutto da sempre. La sua determinazione e la sua morale sono state bene visibili in varie occasioni, una di queste rappresenta la pagina nera della storia del paese: l’attentato terroristico alle due moschee di Christchurch in cui persero la vita 49 persone. La prima ministra ha indossato un velo nero in segno di lutto ed ha stretto tra le braccia i famigliari delle vittime, non ha esternato odio ma umanità limitando inoltre l’acquisto e l’uso delle armi in Nuova Zelanda. 

Con la sua elezione si è scardinato un sistema universale in cui il potere politico è rappresentato in maggioranza da figure maschili. La bassa presenza femminile nelle istituzioni politiche è determinata tra i tanti fattori anche in una serie di ostacoli da superare nel processo di selezione che porta alla carica elettiva. L’ascesa della ministra nel partito laburista neozelandese ad esempio è stata una sorpresa per tutti ma soprattutto per lei, disse ai giornalisti che sarebbe diventata candidato premier solo “se fossero morti tutti gli altri” non è stato necessario poiché è bastato che il capo del partito Andrew Little si dimettesse. 

Le sue basse aspettative potrebbero essere state dettate anche dal non avere role models a cui guardare, ad esempio nei paesi in via di sviluppo si nota che le donne in politica svolgano la funzione di role models per le ragazze, che sono incentivate ad investire in maggior modo su loro stesse per guadagnare spazi nell’economia e nella società che spesso privilegiano solamente gli uomini. A livello governativo sono pochi i paesi che possono vantare di avere una parità di rappresentanza tra uomini e donne e l’importanza di queste ultime nelle posizioni di leadership nel settore politico è considerata necessaria, le donne sono in grado di apportare esperienze di vita diverse che ai tavoli decisionali possono contribuire a individuare soluzioni migliori. I passi da fare sono ancora tanti, ma per il momento la premier neozelandese incarna l’equità di valori che un vero capo di Stato dovrebbe avere: l’empatia abbracciata all’inclusione senza mettere ai margini nessuno per raccogliere le loro fragilità di cittadini ma soprattutto di esseri umani.

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