Il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, al potere dall’aprile 2018 e insignito del Premio Nobel per la Pace 2019, non cede alle pressioni della comunità internazionale, non intende, al meno per ora, aprire le trattative o avviare una mediazione per porre fine al conflitto che imperversa nel Tigray da ormai una settimana.
Il capo del governo etiope ha ordinato , il 4 Novembre 2020 mentre tutto il mondo era concentrato sulle elezioni americane, un attacco nella regione settentrionale del Tigray. Sono state tagliate le comunicazioni telefoniche e i collegamenti internet, anche la compagnia aerea nazionale Ethiopian airlines ha sospeso i voli interni per il capoluogo tigrino Makallè, la città santa di Axum, per Gondar e Shirè. L’offensiva è la risposta ad un attacco a una base militare condotto, dal partito al governo della regione, il Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf) per prendere armi e materiale bellico.
I tigrini sono la minoranza (6% dei 110 milioni di abitanti, nel secondo paese d’Africa per popolazione), che per quasi trent’anni ha governato l’Etiopia con pugno di ferro dopo averla liberata nel 1991, insieme al fronte di liberazione eritreo, dalla dittatura comunista di Menghistu, il “negus rosso”. Il partito che raccoglie i voti della minoranza tigrina, che si considera erede della tradizione semitica dell’ondata di nazionalismo etnico che sta lacerando il Paese, era considerato l’unica soluzione praticabile per mantenere l’unità della seconda nazione più popolosa dell’Africa, divisa dal conflitto tra gli Amhara, da cui proveniva la classe dirigente imperiale fino al 1975, e gli Oromo, discendenti degli schiavi somali. Ma con l’arrivo al potere del premier Abiy Ahmed, un Oromo, il Tplf è stato gradualmente estromesso dalle stanze del potere e ha dovuto rinunciare al potere dopo che, nel 2015 enormi manifestazioni di piazza hanno preteso un cambio di regime.
Cosi nel 2018 Abiy Ahmed, è diventato premier, sotto i migliori auspici: ha ristabilito multipartitismo e libertà di stampa, liberato centinaia di oppositori politici, addirittura firmato la pace con l’Eritrea mettendo fine a un lunghissimo conflitto. Un leader illuminato insomma!
La minoranza tigrina (il cui volto più noto è l’uomo chiave della pandemia, il capo dell’Oms Tedros Gebreyesus, già ministro nel governo precedente) non aveva digerito questi cambiamenti. E quando le elezioni regionali previste per agosto sono state rinviate “causa covid”, il Tigray ha annunciato che le avrebbe tenute lo stesso. E così è stato, in Settembre. Una sfida, un affronto che il governo centrale non poteva tollerare. La tensione crescente ha registrato diversi gravi episodi di assalti armati e uccisioni fra il Tigray e la regione confinante dell’Amhara, culminati con l’attacco alle basi militari governative da parte del Tigray People Liberation Front (TPLF), il partito che rappresenta la minoranza tigrina. In risposta, il 4 novembre Abiy ha annunciato l’avvio di una vasta operazione militare che ha bombardato “obiettivi militari” nel Tigray. Tre giorni dopo, il parlamento regionale uscito dal voto illegale veniva sciolto e Abiy nominava un nuovo presidente regionale. Nel pieno della crisi, il premier rimuoveva anche il capo di stato maggiore dell’esercito, nominava un nuovo capo della polizia federale e sostituiva il ministro degli Esteri. In risposta, il TPLF ha minacciato di attaccare la confinante regione dell’Amhara e anche l’Eritrea. Passando subito ai fatti. L’Eritrea, contro cui l’Etiopia a guida tigrina aveva combattuto una guerra infinita, è ora accusata dal TPLF di sostenere Abiy Ahmed.
Interessato all’evoluzione della crisi è anche l’Egitto, che da tempo è ai ferri corti con l’Etiopia a causa della Grande diga della Renaissance, costruita sul Nilo Blu e che a regime minaccia di togliere gran parte della portata della acque del fiume essenziale alla vita in Sudan ed Egitto. Un’eventuale amplificazione del conflitto potrebbe avere conseguenze anche sulla confinante Somalia.
Le Nazioni Unite e l’Unione africana da giorni moltiplicano gli appelli ad una de-escalation, che per ora appaiono del tutto ignorati. Sia l’Ue, attraverso l’alto rappresentante per gli affari esteri, che il governo degli Stati Uniti attraverso l’ambasciata ad Addis Abeba, hanno chiesto alle parti di fermare l’escalation che sta portando dritto al primo conflitto nell’era della pandemia. Oltre alla pace nel Corno d’Africa, ora è in pericolo il destino stesso dell’Etiopia