Nel 2017 Donald Trump -il negazionista supremo- aveva annunciato l’uscita dell’America dal trattato di Parigi sul clima, sottoscritto da 196 paesi nel 2015 tra i quali gli Stati Uniti guidati da Barak Obama. L’accordo prevede l’impegno per la riduzione delle emissioni inquinanti e per contenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi Celsius.
Grazie al neopresidente eletto Biden gli USA rientrano negli accordi, mantenendo la sua promessa sin dalla campagna elettorale, il presidente americano ha lanciato il segnale che mai come ora serve la partecipazione di tutti gli Stati per salvaguardare la specie umana. Si è augurato che il suo esempio possa persuadere gli altri attori internazionali più reticenti a fare di più per l’abbattimento della CO2. Lo scoglio più arduo infatti è sviluppare la volontà politica necessaria ad abbattere i grandi interessi e le immense risorse dell’industria globale dei combustibili fossili.
Gli Stati Uniti sono i secondi maggiori emittori di gas serra al mondo e il loro contributo al taglio delle emissioni è fondamentale per il successo dell’accordo di Parigi. L’obbiettivo iniziale fu quello di sottoscrivere un trattato che prevedesse degli impegni vincolanti, ma qui subentrò un ostacolo: il partito Repubblicano degli Stati Uniti, è per questo che l’America riveste una determinata importanza. Il partito che controllava il Congresso non avrebbe assolutamente mai accettato alcun accordo significativo, l’unico desiderio di Trump era quello di distruggere tutto ciò che è stato fatto dal suo “acerrimo nemico” Obama. I Repubblicani hanno dichiarato chiaramente che avrebbero bloccato qualsiasi promessa di Obama di fornire aiuti ai paesi poveri per aiutarli a contrastare le conseguenze di un pianeta sempre più malato. Interfacciandoci con la logica capitalistica possiamo riassumere che se priva di vincoli, è una ricetta per la distruzione.
Gli stati come l’America e il resto del mondo occidentale hanno l’obbligo morale di intervenire in aiuto dei paesi poveri, loro li hanno derubati dei propri minuti contati di vita. Come ha sostenuto Papa Francesco, i migranti non sono la causa bensì le vittime, i rifugiati non fuggono verso qualcosa ma da qualcosa. La catastrofe ambientale è uno dei principali fattori della fuga di queste persone, il Sud globale ne sarà maggiormente colpito e i grandi territori potrebbero diventare a malapena vivibili. Decine di milioni di abitanti ad esempio potrebbero abbandonare il Bangladesh per colpa dell’innalzamento del livello dei mari e diventare così profughi climatici. Dove si recheranno? Questo sarebbe solo l’inizio, i ghiacciai himalayani cioè la fonte di approvvigionamento idrico dell’India e del Pakistan si stanno sciogliendo, in base ad un rapporto pubblicato dall’organizzazione WaterAid del 2016 circa settantacinque milioni di indiani non hanno accesso all’acqua potabile. Le regioni e le comunità povere sono le più vulnerabili perché dispongono meno risorse per proteggersi.
Nel 2018 si è inoltre aggravata la fame nel mondo a causa delle condizioni metereologiche, dobbiamo quindi aspettarci che le cifre globali sulla fame che oggi arrivano a toccare 820 milioni di persone, ossia il 10% della popolazione mondiale, continueranno ad aumentare con l’incremento della temperatura globale. Chi ha saturato l’atmosfera di gas serra si prenda le proprie responsabilità, oltre ad aver ucciso, colonizzato, conquistato i paesi a Sud del mondo hanno contribuito ad affrettare il deterioramento della Terra. Questa volta la salvezza riguarda tutti, forse la mano sulla coscienza verrà messa poiché in pericolo è sottoposto il proprio io. Solo in questi casi, siamo tutti uguali.