Uno dei racconti più celebri della scrittrice brasiliana Clarice Lispector si chiama “A bela e a fera ou a ferida grande demais”, in italiano “La bella e la bestia o la ferita troppo grande”. Il testo comincia a Rio di Janeiro con il personaggio di una donna ricca che esce dal suo parrucchiere del Copacabana Palace, l’albergo tuttora simbolo del mondo benestante carioca, che trova (proprio sul marciapiede della spiaggia di Copabacana) un uomo mendicante che usa una ferita nella gamba come mezzo per chiedere l’elemosina e così sopravvivere. Il personaggio di Carla, dopo un colpo psicologico tremendo che la fa uscire della sua alienazione di alta classe, comincia a pensare alle questioni sociali nel Brasile e di come quel personaggio mendicante sia distante dal Brasile ideale dei ricchi, di quelli come lei dice: “che semplicemente si possono permettere”.
Anni più tardi, sarebbe stata coniata la dicotomia tra “favela” e “asfalto” per delimitare lo spazio tra quelli considerati “buoni cittadini” – cioè quelli “dell’asfalto” – e i “cittadini di seconda classe” – cioè quelli delle favelas – questi ultimi visti come coloro che disturbano l’ordine pubblico e minacciano la gente del posto e ovviamente i turisti. Come se la città di Rio – ovvero l’intero Paese – fosse diviso in due zone, due linee che non devono essere oltrepassate: lo spazio rassicurava dove ognuno “doveva” rimanere.
Qualcosa è cambiato dal primo governo di Luis Inacio Lula da Silva, quando una serie di programmi sociali sono stati in grado di dare accesso ai più poveri ad una cittadinanza prima negata e, per la prima volta, migliaia di persone sono uscite della povertà estrema. L’impatto su una società ancora fortemente segnata da caratteristiche coloniali fu altissimo: figli dei “domestici” frequentando l’università a fianco agli stessi figli dei datori di lavoro; gente povera che per la prima volta poteva prendere un aereo accanto a quelli di un’altra classe storicamente privilegiata; le legge che per la prima volta imponeva il sistema delle quote razziali in gare pubbliche in un tentativo di riequilibrare la disparità enorme di mancanza di rappresentanza nera; anche un’altro provvedimento che ha esteso a tutti i lavoratori domestici tutti i diritti del lavoro; la paura della classe media dai “rolezinhos”, tour dei gruppi giovanili di pelle scura – provenienti dalle periferie – ai centri commerciali; il programma federale che ha assunto medici di massa per i piccoli e distanti villaggi poveri, la maggior parte di loro cubani, in un primo momento; ecc. Tutti questi avanzi sociali ormai praticamente sono stati calpestati negli ultimi quattro anni.
Nel 17 aprile 2016, in Brasile, la favela è scesa un’altra volta sull’asfalto: una folla di circa 50mila persone (i numeri non sono stati diffusi dai mainstreaming media ma soltanto dai giornalisti alternativi, come il gruppo di “resistenza” giornalistica “Midia Ninja”) è stata chiamata a Copacabana per sostenere il governo di allora Dilma Rousseff e lottare contro quello che la maggioranza della sinistra, della classe artistica e accademica in Brasile stava nominando il “colpo”, tuttora un termo molto polemiche e questionabile da gran parte della destra brasiliana. Le più prestigiose università brasiliane hanno quasi tutte organizzato dei movimenti interni e esterni per combattere il “colpo”, con dichiarazioni ufficiali sui loro siti web. Da occupazione di spazi pubblici a seminari di discussione della legittimità o meno del processo di impeachment di Rousseff si è vista in tutto il Brasile, da Nord a Sud, manifesti e eventi, come ad USP (Università di Sao Paulo), PUC-SP, UFC, UEA, Unilab, UNB, ecc. Tuttavia, già non era raro che i gruppi di destra colpivano i professori universitari e studenti, irrompendo subitaneamente nelle assemblee popolari come è accaduto all’Università Statale dell’Amazonas (UEA), o a Università Federale del Ceara. La classe artistica che sosteneva il governo di sinistra era costantemente attaccata per strada, il caso dell’attore Zé di Abreu e del cantante Chico Buarque de Holanda. L’’Università Federale di Minas Gerais (UFMG) è stata oggetto di un provvedimento giudiziario che prevedeva che al Centro Accademico fosse proibito convocare qualsiasi assemblea straordinaria con temi collegati al processo di impeachment della Presidenza della Repubblica e delle questioni politiche in generale.
Come ricorda il giornalista Vinicius Torres Freire, mai nella storia della politica ed economia brasiliana questo gigante dell’America Latina è stato così stabile nei 126 anni della sua Repubblica come tra il 1994 e il 2013. Ricordiamo che la democrazia brasiliana è giovanissima e che la nuova Costituzione è del 1988, così che la stabilità a cui si riferisce Torres è stata raggiunta con la fine dell’iperinflazione e l’elezione di Fernando Henrique Cardoso e si è conclusa con grandi manifestazioni di piazza a giugno del 2013, contro “Il Mondiale di Calcio”.
Dopo giugno 2013, quello che si è visto in Brasile è stata una rapida polarizzazione politica, in particolare una crescita veloce di una estrema destra che passa da onorare i torturatori, del tempo ancora recente della dittatura militare (ad esempio, possiamo citare la dichiarazione del Presidente Jair Messias Bolsonaro, che ha dedicato il suo voto a favore dell’impeachment del presidente Dilma Rousseff al noto torturatore Ustra Brilhante), alla campagna “mediatica” di idealizzazione dell’immagine della donna “Bella, Pudica e Casalinga” fortemente combattuta sui social. In quel modo è stata raffigurata la moglie di Michel Temer, il vice-presidente del Brasile che ha preso il posto di Rousseff in una famosa copertina della rivista di destra. Inoltre, la più grave crisi economica della storia, le prove della corruzione generale nei rapporti tra aziende statali e grandi imprenditori, la disintegrazione dei grandi partiti politici, la parzialità delle grandi rete di informazioni che favorivano certi partiti hanno fatto sì che il sistema politico sia crollato dando risultando l”impeachment” o “colpo”, a seconda delle interpretazioni degli elettori. Ciò che ha creato perplessità è che il processo fosse guidato da Eduardo Cunha, un parlamentare condannato a più di cento anni di carcere, mentre Rousseff non è stata mai neanche menzionata in alcuna tangentopoli tuttora. Temer, il vice-presidente poi diventato presidente, invece era indagato nel noto caso “lava-jato”.
Oggi la maggior parte dei casi giudiziari di Lula sono in fase di revisione e, Sergio Moro, il giudice che ha arrestato Lula ed ex ministro della giustizia di Jair Bolsonaro, ha annunciato che deve lasciare il paese, dopo aver contribuito alla polarizzazione che ha distrutto il Brasile. Moro afferma di aver subito minacce di morte da parte dei seguaci dello stesso Bolsonaro, dopo aver lasciato il ministero.
Mentre Moro lascia il Brasile, il Comitato “Lula Livre” lancia una campagna chiedendo, alla Corte Suprema Federale brasiliana, di sospendere i processi che il ex-giudice ha fatto.
“La lotta non si fermerà” è la parola d’ordine che gira tra i gruppi, ma lo scenario è pieno di ombre.
Testo scritto in collaborazione con Vinicius Romanini, professore della Scuola di Comunicazione e Arte presso l’Università di San Paolo (USP).