Il primo viaggio all’estero di Mario Draghi da presidente del Consiglio, è stato in Libia. A Tripoli ha incontrato il premier Abdul Hamid Dbeibah per discutere di una collaborazione comune in tema di infrastrutture civili, progetti in ambito energetico, sanitario e culturale. Fin qui tutto bene, ma la miccia che ha acceso il fuoco dell’opinione pubblica, è rappresentata dalla velata gratitudine di Mario Draghi in merito ai flussi migratori, nei confronti dei libici.
Queste le parole del premier Draghi sull’immigrazione: “Esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi, nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia. Ma il problema non è solo geopolitico ma anche umanitario”.
Essere soddisfatti della gestione libica sui flussi migratori è un paradosso, a proposito delle violazioni dei diritti umani nei campi libici ci saremmo aspettati qualcosa di diverso o perlomeno qualcosa in più. Lo sdegno di tale affermazione, si può riscontrare nelle parole di chi realmente ha come obbiettivo la salvaguardia della vita umana. Medici senza frontiere ha commentato le parole di Draghi con un tweet: “Un salvataggio in mare si conclude solo all’arrivo in un porto sicuro. Se migranti e rifugiati vengono riportati in #Libia si tratta di una condanna alla violenza e alla brutalità nei centri di detenzione. C’è poco da essere soddisfatti”. Non ci saremmo mai aspettati una denuncia da parte di Mario Draghi durante questo incontro istituzionale, l’uomo del “Whatever it takes”. Viste le sue doti diplomatiche, in cui è riuscito a rassicurare i mercati in un momento di grande incertezza per l’euro e l’Europa, Draghi poteva puntare sui diritti umani. Una figura come la sua non ha certo bisogno di insegnamenti, ma come al solito ci dimentichiamo che la vita umana spesso vale meno di un barile di petrolio.
Recentemente l’inviato Onu Jan Kubiš si è recato a Tripoli dove ha ha riferito al Consiglio di sicurezza che attualmente circa 3.858 migranti sono detenuti in centri di detenzione ufficiali in condizioni estreme, senza un giusto processo e con restrizioni all’accesso umanitario. La missione delle Nazioni Unite si è detta «preoccupata per le gravi violazioni dei diritti umani contro migranti e richiedenti asilo da parte del personale del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale e dei gruppi armati coinvolti nella tratta di esseri umani». Sono anni che la Libia è un territorio inaccessibile per giornalisti, organizzazioni umanitarie e via dicendo. Sono poche le figure che possono documentare tutte le atrocità che accadono nei lager. Una volta che si finisce in questi centri, è molto complicato uscirne: i funzionari che formalmente li gestiscono per conto del ministro dell’Interno sono in combutta con i trafficanti, e la maggior parte dei migranti viene costretta a pagare un “riscatto” per poter partire, che spesso viene estorto dopo sessioni di torture. Chi non ha soldi, viene costretto a lavori forzati. Nel caso delle donne, significa essere costrette alla prostituzione.
La condizione dei migranti all’interno dei centri è riassunta bene in un paragrafo del rapporto ONU, compilato grazie a più di 1.300 interviste in una decina di strutture governative realizzate fra il 2017 e l’estate del 2018: La stragrande maggioranza di donne e ragazze intervistate dalla missione ONU in Libia ha raccontato di aver subito uno stupro di gruppo da parte dei trafficanti o di aver visto persone che venivano portate fuori dalle strutture per essere violentate. Le donne più giovani che viaggiano senza un compagno diventano vulnerabili e potenzialmente vittime della tratta della prostituzione. Innumerevoli migranti e rifugiati hanno perso la vita durante la detenzione ad opera di contrabbandieri o trafficanti: sono stati uccisi, torturati a morte, oppure semplicemente lasciati a morire di inedia o di malattia. In tutta la Libia, corpi senza nome di migranti o rifugiati con ferite da arma da fuoco o da tortura o bruciature vengono frequentemente ritrovati nei contenitori per la spazzatura, nei letti dei fiumi, nei campi o nel deserto.
I lager non sono degli hotel presidente, l’Italia finanziando motovedette libiche contribuisce quotidianamente alle sofferenze di tutti i migranti che si avvicinano alla Libia. Non si possono fare complimenti, come se lo Stato ringraziasse la mafia per il pizzo. Si salvano persone in difficoltà dicono no? Io non so come possa ritenersi soddisfatto di abusi, violenze e torture. Siamo colpevoli quanto i libici.