Ogni momento è appropriato per nominare gli spazi dove si prova a dare voce a chi spesso viene silenziato, dimenticato o lasciato all’angolo, a chi ha origini diverse, una apparenza particolare o una cultura differente, e che dovuto alla ignominia di alcuni, non combaciano con il suo paradigma limitante che segnala come deve sembrare un italiano.
Uno di questi spazi è IFF, l’Integrazione Film Festival, “un piccolo festival che si occupa di grandi temi” come annunciato nella loro pagina. È un festival di cortometraggi promosso dalla Cooperativa Sociale Ruah con Lab 80 film e una lunga fila di partner e collaboratori. Prima conosciuto come “C’è un tempo per … l’integrazione”, è nato nel 2007 nell’ambito del Basso Sebino, periferia est della provincia di Bergamo.
Anno dopo anno, le edizioni sono andate in crescendo traslocando dal Cineteatro Junior di Sarnico per arrivare poi nei pressi dell’Auditorium Piazza della Libertà in centro a Bergamo. Passando dal raccontare storie di integrazione di cittadini di diversa appartenenza culturale residenti nello stesso territorio, a ricevere cortometraggi e documentari provenienti di tutti i continenti.
Una finestra di opportunità che in questi tempi di coronavirus è riuscita ad aprirsi e portare avanti la 15° edizione (dal 7 al 11 di aprile 2021) in streaming con grande trepidazione sorteggiando le restrizioni imposte per la pandemia che auguravano un festival diverso del solito ma non meno emozionante, come spiega il direttore artistico del festival Giancarlo Domenghini:
“In un momento che sembrava poter riservare una contrizione della proposta cinematografica cara a IFF, ecco arrivare in soccorso la geografia, con più di 200 film iscritti da tutti e 5 i continenti. Segnale di una sempre più consolidata reputazione del nostro Festival. Proponiamo riflessioni su temi che il distanziamento, il mascheramento e l’isolamento hanno reso ancora più complessi: lo facciamo attraverso il racconto di storie di inclusione, di identità fiere del proprio essere ibride e integre, di incontro e interazione interculturale attraverso lo straordinario linguaggio del cinema”.
In più IFF fa che il cinema sia punto di incontro per scoprire proposte visuali che aggiungono diversità e vissuti reali nelle diverse piattaforme online, come nel caso della serie web Afropolitaine che ci offre un assaggio di come è vissuta la “afrofrancesità” degli afrodescendenti camerunesi-francesi raccontato in 10 puntate dallo sguardo delle registe Soraya Milla e sua madre Alina. Si tesse una rete di collaborazione con proposte omologhe italiane che parlano di questi cittadini italiani che hanno diritto di avere una voce come nella recente serie “Zero”. I protagonisti sono ragazzi italiani, figli di genitori stranieri, e la serie vuole far smettere di designare come “afroitaliani” questi ragazzi e normalizzarli come “italiani” quali effettivamente sono. Questo lo ha detto uno dei registi di questa serie, che è anche un vecchio amico del festival, il regista italiano di origini egiziane Mohamed Hossameldin che lo scorso anno ha portato fuori concorso la sua opera “Il passo” (Italia, 2017, 19’- film che racconta la difficoltà di operare nel mondo dello spettacolo per le danzatrici che indossano il velo). In questa occasione fa visita per dialogare con Soraya Mila e Fatou Sokhna, una giovane cantante e attrice che si autodefinisce, afroromana e afroitaliana, come suona la canzone che interpreta nel cortometraggio vincitore dell’edizione 2020 del Festival: “I am Fatou” di Amir RA, ma di Fatou vi raccontero di più una prossima volta. Infine, un altro regista talentoso, Elia Moutamid, bresciano di origini marocchine, presenta il suo documentario “Kufid”, girato durante il primo lockdown. Un “racconto autobiografico che mescola abilmente la riflessione sulle difficoltà vissute dal regista all’inizio della pandemia a quella sulla sua multi-identità”. Al termine della serata di sabato 10 aprile sono stati proclamati i vincitori: miglior cortometraggio è “Dolapo is Fine” della britannica Ethosheia Hylton; miglior documentario “Razas” primer acto dello spagnolo Alex Ygoa; e la menzione speciale per “Bataclan” di Emanuele Aldrovandi, produzione italiana ambientata in Francia.
La “I” di “integrazione” in IFF si diversifica aggiungendo altri significati: “inclusione” e “identità”, ondeggiando sempre tra temi “multi”: multiculturali, multireligiosi e multi-identitari, per aprire il passaggio alla consapevolezza che la lotta per dare visibilità alla storia dei cittadini italiani di ogni colore non ha una scadenza. È il compito di ognuno di noi non chiudere gli occhi e vedere che se c’è speranza c’è sempre uno spazio per inventare e scoprire le multiple sfaccettature della parola integrazione.
