Il “no” di Rula Jebreal a Propaganda Live perché unica donna tra gli ospiti invitati, ha tenuto banco nelle prime pagine delle testate giornalistiche della settimana. La giornalista avrebbe dovuto partecipare per discutere la crisi israelo-palestinese ma ha rinunciato dopo aver visto che il suo nome era inserito in una lista comprendente altri sette ospiti di sesso maschile, senza altre donne invitate.
Ma chi è Rula Jebreal? È una giornalista, scrittrice e conduttrice italo-israeliana di origini palestinesi. Da giovane riceve una borsa di studio dal governo italiano per intraprendere l’università in Italia. Dopo la laurea in fisioterapia, a Bologna, inizia il suo percorso lavorativo nella tv italiana.
Ha sbagliato Rula Jebreal a rifiutare l’invito di Propaganda Live. Dico questo, non solo perché sono un fan religioso del venerdì sera, che non aspetta altro che farsi due risate ed allo stesso tempo informandosi su quello che accade nel mondo, in modo alternativo e divertente, come fa il programma di Diego Bianchi, ma come un immigrato di prima generazione che vive sulla pelle tutte le discriminazioni in Italia.
E’ vero che molti studi e dati rivelano una scarsa presenza femminile. Nel 2020 le donne ospiti sono state in media il 32%, contro il 68% degli uomini. Rula Jebreal ha messo il dito nella piaga denunciando un problema non del tutto italiano. Lo conferma anche il Global Media Monitoring Project, un ampio progetto che monitora dal 1995 la rappresentanza delle donne nei mezzi di informazione a livello mondiale e che si ripete ogni 5 anni (dovrebbe essere imminente la pubblicazione della sesta ricerca). Anche una ricerca condotta dall’Osservatorio di Pavia ha rilevato che le donne sono complessivamente marginalizzate sui media italiani, non solo quando fanno notizia, ma anche quando firmano le notizie.
Le donne sono sottorappresentate in qualunque professione, ma raggiungono il 48% quando si tratta di parlare di vittime e sopravvissute; le politiche sono l’8% contro il 91% dei loro colleghi, ma la presenza femminile schizza al 70% quando sono intervistate come casalinghe o genitrici; la presenza sale anche quando sono intervistate come “anonime” e rappresentano categorie generiche: studentesse, adolescenti, ecc., ovvero in funzione di coro indistinto. Il problema, secondo me, è culturale ed è legato all’ingombrante narcisismo maschile che inflaziona un protagonismo invadente!
Rula Jebreal merita tutto il mio rispetto per il lavoro che ogni giorno fa, per dar voce a chi non la ha. Tuttavia, però bisognerebbe iniziare a pensare di superare quell’irrigidimento mentale che, illudendoci di aprire delle ulteriori finestre sulla giustizia, ci fa chiudere il portone principale. Cosa intendo? Ma come può esserci uguaglianza di genere se si ragiona in chiave di uguaglianza superficiale, come il fatto che debba per forza esserci un numero pari di donne e uomini in una serata di un live show così già ampiamente inclusivo, e soprattutto di cultura, come Propaganda Live? Nella lingua italiana, non per niente “genere” e “numero” sono due categorie grammaticali diverse. Il pensiero non implica il fenotipo di una persona, e il fatto che Rula si sia schierata in questo modo in difesa delle donne vittime di un presunto maschilismo implicito fa capire che non sa minimamente cosa di fatto sia Propaganda Live: l’emblema della diversità, della coesione tra minoranze e anche un modo simpatico e giovanile di vedere l’attualità dal punto di vista di quel mondo tragicomico che sono i social: “rendere attuale” l’attualità.
In più dico, questa sua ossessione negativa con l’uomo bianco in quanto essere umano mi fa pensare e preoccupare tanto. Forse le plasma la visione in un modo non nobile. Replicando indirettamente alle parole del conduttore Diego Bianchi, che affermava che sono soliti invitare una persona in trasmissione per le sue competenze e non per il sesso, e lanciando nuove accuse al programma, reo di “aver invitato a parlare un uomo bianco […] che ha esordito dicendo ‘Non so molto della Palestina'”, mi fa vedere lo sbalzo reale che vive fra due mondi, quello anglossasone e italiano. Due culture antropologicamente diverse, sostanziati e radicati su degli aspetti politico-sociali completamente diversi. Per favore non trasportiamo e importiamo un problema che ha delle basi davvero solide nel lato anglosassone su un piano superficiale italiano. In Italia le donne e gli uomini hanno conquistato il diritto del voto lo stesso giorno, votando per abolire una monarchia per fondare una repubblica.
Tuttavia tutta questa diatriba avvenuta durante la settimana mi ha fatto riflettere tanto sugli equilibri sociali e sulle varie dinamiche che la accompagnano. Specialmente sul parallelismo delle lotte in comune che abbiamo noi uomini neri e di colore con le donne italiane per conquistarci il nostro posto in questa società che spesso ci fa sentire non rappresentati a sufficienza. Ci meritiamo tutti una vera parità, e solo nel momento in cui si potranno invitare anche undici uomini e solo tre donne ad una serata di dibattito culturale senza che si gridi al maschilismo inconsapevole, solo allora, si potrà parlare di raggiunta parità di genere, anche se quella di rappresentanza ancora ci vorrà tanto!