Spagna: perdonati i leader dell’indipendenza catalana

Madrid perdona i leader indipendentisti catalani condannati per tentata secessione dopo il referendum dell’ottobre 2017.

Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha concesso “la grazia” ai prigionieri catalani condannati per tentata secessione, ricevendo critiche da parte dell’opposizione e del partito di destra Vox, che lo ha accusato di aver “tradito” la Spagna per una manciata di voti. In tutto, nell’ottobre 2019, 9 leader dell’indipendenza sono stati condannati a una pena tra i 9 e i 13 anni di carcere con l’accusa di “sedizione”.

Il leader catalano Pere Aragonès ha definito “una farsa” la condanna dei leader indipendentisti. Inoltre, ha chiesto un nuovo referendum.

Secondo Eurostat, la Catalogna conta 7,6 milioni di abitanti, che rappresentano il 16 per cento della popolazione spagnola. Il PIL pro capite catalano è di 33mila euro, sopra la media spagnola di 29mila euro. All’interno dell’economia spagnola, rappresenta la quota non indifferente del 20 per cento.

Nel 2017, il governo e il parlamento della Catalogna, nelle mani delle forze indipendentiste guidate da Carles Puigdemont, hanno autorizzato un referendum sull’indipendenza, tenutosi il 1° ottobre, contravvenendo a una sentenza della Corte costituzionale. In risposta, il governo di Madrid ha inviato la Guardia Civil e la polizia per fermare il voto, intervenendo contro i cittadini che facevano la fila per votare. Circa il 40 per cento dell’elettorato ha votato al referendum, che è stato ritenuto incostituzionale e non riconosciuto dal governo di Madrid. Tuttavia, il risultato ottenuto rappresentò un quorum sufficiente per proclamare l’indipendenza della Catalogna dal resto del Paese. Ci sono state proteste di piazza e manifestazioni di massa a Barcellona per l’indipendenza e contro Madrid.

Il 27 ottobre 2017, infatti, il Parlamento di Barcellona ha votato la Dichiarazione di Indipendenza unilaterale. Intanto a Madrid, su iniziativa del governo di Mariano Rajoy, il Senato ha votato l’applicazione dell’art. 155 della Costituzione per la sospensione immediata dell’autonomia e la soppressione degli organi autonomi in Catalogna.

Nelle prime elezioni successive, il 21 dicembre 2017, i separatisti hanno vinto con una stretta maggioranza e il presidente Quim Torra – alleato di Carles Puiedgemont, fuggito in Belgio per evitare l’arresto – ha promesso di continuare a lottare per l’indipendenza.

Dopo l’uscita di scena di Rajoy e la vittoria del socialista Pedro Sánchez, nel giugno 2018, la linea di Madrid è cambiata. Sánchez ha compiuto alcuni gesti simbolici come il trasferimento dei politici catalani detenuti dalle carceri spagnole alle carceri catalane, arrivando addirittura a mettere all’ordine del giorno una possibile riforma dello Statuto dell’autonomia della Catalogna. Soprattutto, ha lasciato intendere di essere disposto a fare tutto il possibile nel rispetto della costituzione per ricreare un clima di pacifica convivenza con la Catalogna.

Nel 2020, l’Esquerra Republicana ha firmato un accordo con i socialisti per consentire la formazione del governo di coalizione PSOE-Unidas Podemos. Intanto, alle elezioni regionali dello scorso febbraio, il blocco indipendentista catalano non solo ha riconquistato la maggioranza all’Assemblea di Barcellona, ​​ma, per la prima volta, ha anche conquistato la maggioranza assoluta dei voti, superiore al 51 per cento delle preferenze, ottenendo una legittimità popolare mai avuta. Una settimana fa, anche il Consiglio d’Europa ha approvato una risoluzione che invitava Madrid a liberare dal carcere i politici catalani, definendo le condanne inflitte “sproporzionate” perché gli atti contestati non erano violenti.

Nel corso degli anni, però, la questione catalana ha alimentato la propaganda dei partiti nazionalisti di destra e del neofrancoismo. Inoltre, nel difficile percorso di riconciliazione intrapreso da Sánchez, la Corte Suprema spagnola si è pronunciata contro la concessione della grazia, in un parere non vincolante, in cui si sottolinea che le sanzioni comminate per i reati commessi “erano adeguate” e che finora nessuno dei condannati aveva mostrato pentimento.

Per evitare un braccio di ferro con la Corte – al quale faranno sicuramente ricorso il Partito Popolare e il partito Vox – saranno studiati nel dettaglio i provvedimenti di grazia, che dovranno essere firmati da re Felipe VI. In altre parole, eventualmente i provvedimenti conterranno disposizioni che stabiliscono che se i detenuti reiterano il delitto, in un periodo che può aggirarsi intorno ai tre anni, la grazia sarà annullata. Per lo stesso periodo, i beneficiari non potranno tornare all’attività politica.

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