Alle persone non interessa il mio nome, Il mio volto, i miei tratti somatici sono il metro di giudizio che mi stereotipa. In un mondo tanto bardato di interdizioni morali, simboliche e ideologiche quelli come me vengono respinti ai margini.
Il rischio è di empatizzare, non sia mai che tra persone si possa fraternizzare rendendo umano il giudizio reciproco. Non posso rinunciare a ciò che sono anche se qualcuno non mi vede, non mi sente ho il desiderio di appartenere, riuscire a guardarmi allo specchio e riconoscermi. Non succede spesso se non per mia volontà.
Vengo pretestuosamente definita una risorsa, una seconda generazione, un ponte culturale ma anche un pericolo ed usurpatrice della purezza italica. A nessuno sembra interessare il mio giudizio, figurarsi che io possa esprimere la mia identità culturale. Percorro questo mio stato di abbandono sociale in una comunità di disuguali condividendo con loro la condizione di marginalizzazione identitaria e di opportunità negate.
Una comunità di ragazze e ragazzi che attraverso una leale comunione di idee, hanno deciso di superare le avversità e di agire per una rinnovata narrazione utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione, resilienti come sempre senza mai frammentarci siamo consapevoli che nessuno si salva da solo.
Siamo gli attori sociali di base ma diversi, gli ultimi arrivati che possono scegliere fra la sottomissione o la rivolta. L’indignazione collettiva, compagna e amica in questa rivendicazione condivisa, mi impegna e mi sollecita affinché questo aggregato di ferite umane si metta in cammino nella comune costruzione di un’ emancipazione pubblica.
Abbiamo solidarizzato e creato un motto dal quale sono nati plurimi movimenti spontanei di impegno civile, ove è possibile constatare un’evidente e sorprendente complementarità di riflessioni.
L’obiettivo non si limita a condividere una comune lotta ma l’aspirazione di affermare i nostri nomi, creare le condizioni di esternazione dei nostri pensieri e soprattutto, rivendicare l’espressione della nostra identità. Come affermato dal Presidente Draghi, indirizzandosi ai rappresentati della volontà popolare, il Parlamento; “prima del dovere di appartenenza c’è l’obbligo della cittadinanza”.
Noi questo lo abbiamo appreso a nostre spese e abbiamo fatto esperienza di questo solerte e diligente invito a proseguire con fermezza le assunzioni di milioni di persone annichiliti dalla forza bruta del poter politico.
Abbiamo negli anni seminato e curato il nostro orticello. Non è stata un’impresa facile in quanto intervenivamo su di un terreno inaridito dalla sorda ed accecante indifferenza delle istituzioni.
L’orto è diventato un’oasi, terra promessa per gli italiani senza cittadinanza. Con trepidante attesa abbiamo delegato ai rappresentanti politici una legge sulla cittadinanza. “Non è un priorità”, “è un tema diviso” e ci hanno nuovamente rilegati all’ombra dei nostri diritti.
Molte delle nostre vite si sono fermate al 2015. Per troppo tempo e per troppe volte, con la testa china e con mano tesa abbiamo elemosinato un diritto, non un privilegio, mentre con l’altra abbiamo continuato a curare il nostro giardino. I vigorosi fiori dalle radici ben salde sono ormai disincantati e non subiscono più la seduzione degli enunciati della politica che ormai risuonano come un ingannevole canto delle sirene.
Archiviare consapevolmente il diritto di appartenenza fa resuscitare in noi il desiderio comune di non abbandonare la nostra causa ma di perseguirla imperterriti senza cadere nelle sfaccettature che la parola -odio- può assumere.
La rabbia è un sentimento che se accostato alla fatica avrebbe potuto renderci negligenti, ma sappiamo bene che la parola d’ordine è resilienza. L’aggregazione non è più una chimera e non è neanche la sommatoria delle singole realtà. È una comunione che è moltiplicativa del vigore con cui continueremo ad affermare con forza, energia e vitalità i principi della costituzione italiana e della convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La nostra forza è manifestata dall’ amore per questa nazione e la comune condivisione di ideali e valori. Una comunità di donne e uomini che ogni giorno, con determinazione, tenacia, impegno e senso civico, si alzano per essere persone migliori e contribuire a insaldare i rapporti sociali, sfilacciati dall’iniezione di odio ed edificazione di muri dell’indifferenza, il tutto all’interno di una cornice di colonizzazione culturale che ha la pretesa di nominarci, di farci interpreti di ciò che abbiamo da dire e soprattutto arrogarsi il diritto di spiegarci e definire la nostra identità.
Siamo come piccoli focolai, pronti a propagarci per promuovere un sistema fondato sul mutuo appoggio. Da singoli individui in una società atomizzata, non possiamo fare nulla. Se qualcosa può muoversi, può farlo soltanto grazie all’aiuto reciproco, alla solidarietà e all’impegno collettivo per cambiare davvero le cose. E’ stato così in passato e non c’è ragione perché debba essere altrimenti in futuro.
Oggi sono consapevole della mia uguaglianza nella mia diversità. Mi sono armata di coraggio ad esprimere il mio orgoglio di cittadino italiano senza cittadinanza. Spesso ho provato disperazione ma non ho mai rinunciato al mio obbiettivo, per sentirmi a casa ho bisogno di averne una.
Non voglio più dover combattere la frustrazione di giustificarmi per quello che sono, non voglio più perdere le possibilità che la vita ha avuto in serbo per me. Non voglio dire più bugie, perché se mi ritengo italiana senza essere riconosciuta ho il diritto di continuare a nuotare in questo mare universale senza dover affogare ogni volta nell’inesistenza umana.
Ho trovato rinnovato entusiasmo ed un’amicizia operosa propedeutica ad un riscatto identitario in un dialogo non omologante che preservi l’individuo e non faccia la questione della cittadinanza una questione ideologica. Dopo aver avvertito il desiderio irresistibile di unire le forze, finalmente mi sento parte di una comunità in cui vengo chiamata per nome, Aisha.