Sono Amro Mahmoud, nato e cresciuto in Italia, ma come si può notare dal nome, ho origine da tutt’altra parte. Immigrato di seconda generazione, i miei genitori, mio padre prima, negl’anni ’80 e mia madre poi negl’anni ’90, si sono trasferiti a Roma da Alessandria d’Egitto. Non sono solito scrivere biografie, o racconti sul sottoscritto, ma se con il mio piccolo trascorso di vita posso dar forza a qualche mio “simile” (ovviamente simile, per quanto riguarda il fattore nascita/crescita) non vorrei perdere l’occasione.
Con ciò posso cominciare a dire è che la vita di un immigrato di seconda generazione sicuramente non è difficile o tortuosa come può esserlo il viaggio che fa uno dei tanti immigrati per arrivare a dei porti sicuri per poter, ad esempio, sperare in un futuro migliore per lui e la sua famiglia.
Ma sicuramente posso assicurare che la mia vita da immigrato di seconda generazione, non è stata tutta rose e fiori.
Partiamo dall’inizio comunque. Una volta nato, i miei genitori, mi hanno portato in Egitto, già dopo il primo anno di vita, ed ogni anno, finita la scuola, tutta la durata delle vacanze estive le trascorrevo in mezzo ai miei parenti ad Alessandria. Per tutto il tempo della vacanza, ovviamente, mi immergevo nella cultura egiziana, aiutato anche dallo spirito di curiosità che contraddistingue il periodo dell’infanzia, assimilando così, man mano, estate dopo estate, tante caratteristiche comportamentali e di pensiero del popolo che mi ospitava quel periodo. Il problema sorgeva, quando dovevo tornare in Italia. Dovevo riadattarmi al modo di pensare e agli usi e i costumi del posto in cui sono nato. Da bambino mi rimase assai difficile effettuare ogni anno questo tipo di switch e soprattutto, avendo dei comportamenti ambivalenti e soprattutto altalenanti, ho dovuto combattere con il mio carattere e con il mondo che mi circondava, non con facilità.
Tutto questo per arrivare a dire che: in Egitto non mi sentivo egiziano al 100%, basti pensare al fatto che i miei compagni di merende mi soprannominavano “l’italiano”. Il problema era che, una volta in Italia, continuavo a sentirmi diverso perché, in quel caso, per tutti ero “l’egiziano”.
Potete benissimo immaginare il cervello di un bambino, come un gran minestrone, in cui vi sono divergenze: tra due culture, due religioni, due nazionalità, ma soprattutto due pensieri, quasi totalmente differenti.
Non è stato facile, e non lo è per nessuno abbia un trascorso simile al mio.
Concluderei dicendo che, per fortuna crescendo, uno riesce a capire e distinguere, cosa bisogna assimilare da una parte e dall’altra, non rinnegando le proprie origini, e combattendo per essere #italianovero, perché fondamentalmente è quello che sono.