“Ricordo il profumo di ragù, quell’odore buono che ti ammalia e ti fa venire l’acquolina in bocca. È un’immagine che nonostante siano passati tanti anni ancora riesco a rivivere, a sentire e percepire come vivente. Una tavola apparecchiata con numerose pietanze, la cachiupa – tipico piatto capoverdiano – non mancava mai. Eravamo avvolti in un clima di spensieratezza e da un calore umano e familiare”. Questo è il vivo ricordo di Luca Neves, delle sue ordinarie domeniche passate tra gli affetti di casa in cui la mamma, come in un rituale, si svegliava presto la domenica mattina per prepara le pietanze ai suoi cari.
Luca è un pozzo d’ispirazione, una sorgente da lasciar sgorgare, ha una sensibilità sopraffine e questo, ahimè, gli ha procurato non pochi guai. Non ha paura di esternare i suoi sentimenti, anche la sua identità di italiano “clandestino”. Una vita vissuta pienamente e scandita da oltre quattordici – uno, due, tre, quattro, cinque… dieci… QUATTORDICI anni senza avere uno straccio di documento.
I suoi modelli sono Thomas Sankara e Martin Luther King per la determinazione che entrambi dimostrarono e misero a servizio di un ideale. Quando parliamo del suo status di italiano senza documento si intuisce dalla sua malinconia che il documento non rappresenti un solo atto formale, un pezzo di carta da esibire alle autorità quando ti vengono richiesti. È molto di più. È l’accesso ai diritti, è la condizione sine qua non per autodeterminarsi e quindi emanciparsi. Nonostante tutto e tutti, è riuscito ad emanciparsi ma non ad autodeterminarsi.
La sua formazione, la sua esperienza di vita spiegano l’origine della sua umanità, del suo estro. Mentre lo ascolto riverbera in me, come un tarlo in testa, una domanda. Cosa fa una nazione, una identità nazionale se non le gambe, le braccia e l’intelligenza degli uomini che tutti giorni ne incarnano i valori, gli ideali? Luca Neves quando parla dei suoi piatti, della musa ispiratrice dei suoi brani, dei piani futuri si percepisce non solo un orgoglio identitario, ma un entusiasmo, una fierezza che stona con il fatto che le leggi di questa Repubblica non danno rilievo, non fanno onore e rilegano all’invisibilità un figlio, un fratello d’Italia.
Mi viene naturale e spontaneo superare l’imbarazzo della domanda e chiederle; “perché non hai provato escamotage per perfezionare la tua richiesta di cittadinanza?” Qui si avvera l’impensabile, l’imponderabile. La sua coscienza di #ItalianoVero non glie lo permette. Sarebbe come pagare per l’aria che respira, sarebbe come bluffare con la “scala reale” in mano, sarebbe usurpare un bene prezioso, non se lo perdonerebbe mai. La sua vicenda sembra uscita da un film neorealista, sembra una sceneggiatura di Vittorio de Sica magistralmente interpretato da Sofia Loren. Alla domanda “qual è la prima cosa che farai una volta acquisita la cittadinanza?” Con un ghigno timido ma fiero che esplode sul suo viso, con uno sguardo fermo ed orgoglioso, senza esitazione mi rivela che farà la promessa di matrimonio alla sua compagna, italo-francese, oggi potenzialmente la chiave di una scorciatoia per ottenere quanto sperato e tanto auspicato ed agognato, la cittadinanza italiana per via del matrimonio.
To be continued