Le conseguenze della pandemia sulle democrazie, in particolare in campo politico, sociale ed economico e i suoi impatti sulla classe operaia può essere definita come un vero “stato di eccezione selettivo”, in cui i divieti, principalmente sul diritto di andare e venire e sui rapporti di lavoro, venivano applicati in modi diversi tra le classi sociali, ancora una volta a vantaggio del capitalismo.
Il professore José Manuel Mendes, della Università di Coimbra, indica una tendenza globale verso il rafforzamento delle pratiche di sicurezza degli stati, in particolare quelli europei, e la loro forza in tutte le sue componenti. Secondo il studioso, “la nozione di Giorgio Agamben che lo stato di eccezione, e l’uso dei poteri di emergenza, sia la norma che definisce gli stati moderni, implica in una sospensione della legge che rafforza la forza dell’emergenza stessa”.
I rapporti internazionali (ONU, Idea, Parlamento Europeo ecc.) mostrano un diffuso declino delle libertà e dei diritti dei cittadini anche nelle “democrazie più evolute” causato dall’emergenza pandemica. Ciò è riscontrabile soprattutto in relazione al rispetto dei diritti civili, all’autonomia dei media, alla disparità di genere e, in particolare, alle classi a minor potere d’acquisto. Mendes (2020) amplia questo ragionamento sottolineando che «la possibilità di reclusione varia a seconda delle risorse che le famiglie e gli individui hanno, sia nell’assicurare la sopravvivenza economica che nelle condizioni di vita».
Si può, quindi, considerare che lo “stato di emergenza” accentui eccessivamente le disuguaglianze sociali” a favore delle classi abbienti. Pertanto, le considerazioni sull’impatto di queste “sospensioni dei diritti” sulla democrazia, nonché sugli istituti che le sostengono, sono materia da trattare con la dovuta attenzione, in quanto finiscono per essere indirizzate verso interventi falsamente “umanitari” e “difese attive” e “di modelli di politica dell’azione pubblica che avvantaggiano i cittadini a scapito degli altri.
Ciò che abbiamo visto sono stati effettivamente standard di isolamento selettivo. Ad esempio, un lavoratore appartenente alla “categoria essenziale” poteva affollarsi su un mezzo pubblico e rischiare di esporsi al virus, in quanto lo Stato, nella maggior parte dei casi, non è stato efficace nell’assicurare una maggiore quantità di mezzi per loro. Ossia, per lo stato, un lavoratore essenziale ha potuto andare in giro senza considerare i contagi. Tuttavia, a questo stesso lavoratore non è stato permesso di incontrare i compagni di un sindacato o per fare un’altra attività per contestare azioni malsane da parte dei datori di lavoro.
Nancy Fraser ricorda inoltre che lo stesso regime che ha disinvestito nelle infrastrutture sanitarie pubbliche ha rotto i sindacati, ridotto i prezzi e ha scaricato il lavoro di assistenza alle famiglie e alle comunità, oltre a ridurre la loro capacità di svolgerlo. Il neoliberismo ha così esacerbato la tendenza intrinseca del capitalismo a destabilizzare la riproduzione sociale. Sotto il regime di “chiusura”, asili nido e scuole si trasferirono in case, spesso non adatte a questo scopo. Secondo Fraser, l’aggravamento di questi fenomeni è ricaduto in gran parte su categorie vulnerabili intersecate per genere, razza e classe sociale, dove si vede chiaramente l’incapacità dei mercati del lavoro di riconoscere equamente il reale valore del lavoro, ma che continua a garantire i profitti ai più ricchi.
Marcela Magalhães e Miguel Tiago.