Le vittimizzazioni secondarie delle vittime di reati sessuali tra Brasile e Italia

Fu solo con la fine della seconda guerra mondiale e la crescente affermazione dei diritti umani che l’assistenza umanizzata fu estesa alle vittime di un reato, sotto l’impulso di un nascente movimento delle vittime, con l’obiettivo comune di consentire la protezione della persona della vittima che prima non esisteva. Tuttavia, questa evoluzione è ancora limitata quando si tratta di vittime di violenza sessuale. In Brasile, c’è stato qualche mese fa un processo sul caso di violenza sessuale subito da influencer Mariana Ferrer che molto ha ricordato il processo seicentesco della pittrice Artemisia Gentileschi, a Roma.

Il processo penale pubblico, come diceva  il professor argentino Julio Maier, era una creazione dell’Inquisizione, trasformandolo in uno strumento di controllo statale sugli individui e sui loro corpi, e rimuovendo l’azione volontaria della vittima nella giustizia penale, le preoccupazioni per lo status quo precedente e per la riparazione del danno.

Quattro secoli dopo, sottoporre le vittime alla tortura sembra ancora essere una realtà nei procedimenti penali, almeno nell’ambiente legale brasiliano, come può essere verificato nel caso M.F., che ha accusato l’imprenditore di stupro, sostenendo di essere stata drogata e di non poter dare un valido consenso all’atto sessuale, fatto che sarebbe avvenuto il 21 dicembre 2018, presso un noto club, a Florianópolis, dove Mariana Ferrer lavorava.

Il caso ha avuto ripercussioni dalle stesse segnalazioni della vittima nel suo profilo su un social network, anche se risulta essere screditato in una sentenza di condanna, a causa delle buone condizioni economiche dell’imputato. Nel luglio 2019, il Ministero Pubblico di Santa Catarina ha presentato una denuncia contro l’imprenditore.

Il processo ha riacquistato notorietà a pochi mesi dalla sua chiusura, dopo la diffusione di informazioni e di un video da parte del portale di notizie The Intercept Brasil, in cui si vedevano scene in cui gli attori legali presenti – pubblico ministero, giudice e difensore d’ufficio – sarebbero stati muto di fronte ai gravi attacchi dell’avvocato difensore dell’imputato alla vittima durante la sua testimonianza.

Addirittura Ferrer è stata sottoposta alla messa in discussione della sua integrità morale, alle accuse di promiscuità, compresa la dimostrazione che l’avvocato difensore ha fatto delle sue foto sui social, da lui definita “ginecologica”. A differenza del caso Artemisia, qui  l’imputato non è stato condannato, il caso è stato giudicato nel settembre 2020 e l’imputato è stato assolto dal giudice della terza corte penale di Florianópolis.

I crimini sessuali sono tra i crimini che suscitano il maggior allarme sociale e, di conseguenza, il maggior richiamo pubblico. Nel caso di processi in cui l’accusa contro l’imputato è di violenza sessuale, nella maggior parte dei casi, lo schema che si ripete si contrappone a due versioni inconciliabili e dicotomiche: la vittima affermerà di essere stata violentata; l’imputato fonda la sua difesa sull’affermazione che i rapporti sessuali sono stati consentiti e desiderati dalla vittima. Ovviamente, tali posizioni contrapposte non si presenteranno ogni volta che si commette violenza sessuale anche se i risultati sono inconciliabili con un rapporto consenziente, come nei casi in cui gli esiti medico-legali sono indiscutibili.

la persona abusata è testimone del processo a tutti gli effetti. La colpevolezza dell’imputato può essere provata anche solo dalle dichiarazioni dell’offeso/denunciante, soprattutto nei reati sessuali dove la vittima e l’aggressore si trovano solitamente soli in un ambiente chiuso.

Si può individuare, sotto un pregiudizio storico nella prospettiva europea del caso Artemisia, che le vittime di reati, che inizialmente occupavano la condizione di protagoniste nella risoluzione del procedimento penale, sono passate ad una situazione non solo di dimenticanza e esclusione, ma di punizione.

I due casi rivelano che il processo penale non sa come affrontare la testimonianza delle donne vittime nei casi di violenza sessuale, e le modalità argomentative degli attori legali si ripetono da secoli: dubitare della parola della vittima, contestualizzarla di “promiscuità”, per elencare sospetti diffamatori e promuovere una sfilata di condanna morale della vita della vittima. Punto cruciale da evidenziare nei processi è la dignità delle vittime di reato e la loro effettiva partecipazione al processo, senza che ciò comporti una battuta d’arresto per quanto riguarda i diritti e le garanzie già garantiti non solo all’imputato, ma anche alla stessa vittima.

Al fine di garantire e tutelare le vittime di violenza sessuale nei procedimenti giuridici, è necessario riformulare il processo penale in grado di adeguare l’azione penale statale al trattamento dignitoso della vittima; stimulare reinterpretazioni storiche, culturali e normative, soprattutto sotto il prisma costituzionale e convenzionale del processo penale; promuovere la risignificazione delle prove testimoniali della vittima; adeguare le disposizioni dei tribunali che garantiscano il rispetto delle vittime di reato e dei loro interessi, evitando vittimizzazioni secondarie.

Marcela Magalhães e Bheron Rocha, Presidente del consiglio penitenziario dello stato del Ceara

Menu