Le prime tornate elettorali post-covid sono intrise di molti significati. Innanzitutto, ci restituiscono un’apparente normalità che, invero, anche una certa strategia politica opinabile aveva contribuito ad alterare. Una politica che ha generato delle inerzie per cui è nomarle affidare le sorte di un governo, e quindi di un intero paese e delle donne e uomini che lo vivono, alla fiducia interessata di politici che temano di non essere nuovamente eletti. Una politica in cui prevale l’interesse personale, nel migliore dei casi gli interessi di parte, rispetto a quelli generale. Il risultato è stato che cittadine e cittadini sono rimasti a casa. L’astensione alle urne è solo, però, la punta di un iceberg. È il sintomo degli “orfani politici”. Le persone rinnegano, ripudiano, sconfessano e/o rinunciano ad esercitare il loro diritto politico? Numerosi sono gli interrogativi a cui la classe politica dovrà necessariamente rispondere.
Un tempo il vanto italiano era che, al netto delle qualità e/o metodo di cooptazione della classe politica, vedi le ultime leggi elettorali, alcune con profili di anticostituzionalità, l’appuntamento elettorale rappresentava un momento di partecipazione. “La democrazia è partecipazione” diceva, cantando, il compianto ed eternamente contemporaneo intellettuale Gaber il quale sicuramente ci avrebbe affidato, più degli attuali opinionisti di professione, una chiave ironica ed asciutta di una crisi, che non è solo materiale ma è anche esistenziale, affidandole un orizzonte.
Andare a votare non è un mero atto formale, sostanzia ed alimenta la nostra fragile democrazia.
Provate a chiederlo a quelle persone a cui viene negato il riconoscimento identitario della cittadinanza attraverso le leggi razzializzanti del nostro ordinamento giuridico. Donne e uomini a cui viene negato, per assurdo, il privilegio e non diritto di non recarsi alle urne. Chi sa chi avrebbero votato? La mia è ovviamente una domanda retorica, usata mille volte pretestuosamente, per velleità, per fini partitici.
A me quello che interessa è che avrebbero potuto esercitare un diritto primario ed offerto a me l’opportunità di vivere in una democrazia veramente rappresentativa. Una democrazia alimentata dal sentire di donne e uomini che si fanno cittadini e non sudditi. Una democrazia coltivata dall’ambizione di sorelle e fratelli, i veri artigiani della nazione. Una democrazia partecipata ed inclusiva opposta all’affermazione di un’oligarchia autoreferenziale.
Se sei anche tu indignato ma non rassegnato, aiutaci a fare un primo passo verso un’emancipazione collettiva in cui contrapporre all’etica cinica di un “referenzialismo alfa” un orientamento per un agire ideale, per un umanesimo generativo.
La strada è lunga ma siamo già oltre 17mila persone e percorrerla.
Firma anche tu la nostra petizione