Le donne di nazionalità indiana sono le nuove schiave di alcune aziende dell’Agro Pontino. Raccolgono primizie destinate alle nostre tavole senza diritti né orario facendo così arricchire le agromafie. Vengono pagate meno degli uomini, pur facendo gli stessi orari, e sono violentate da datori di lavoro e intermediari: ecco le donne al lavoro nei campi.
Trattate come anime morte, sono corpi a disposizione dei padroni pronti ad ogni abuso. Vivono ad un centinaio di chilometri dalla Capitale a ridosso della borghesia illuminata, ma sono fantasmi: chiuse in un capannone sette giorni su sette, per meno di 4 euro l’ora. Lavorano per 14 ore di fila selezionando, pulendo e lavando ravanelli, zucchine, carote per imprenditori e cooperative.
Niente pause, niente indennità di licenziamento e di maternità, quando qualcuna di loro è rimasta incinta è stata obbligata ad abortire. Una vera e propria negazione dei diritti umani per il profitto, il guadagno che non guarda in faccia nessuno e uccide le anime di uomini e donne, ma anche i loro corpi.
Le italiane non sono neanche sfiorate e sono pagate in regola secondo alcune testimoni. I ricatti che subiscono queste lavoratrici sono rivolti anche ai loro figli piccoli, un’operaia intervistata racconta cosa le ha detto uno dei responsabili :”Se accetti le mie avance ti rinnovo il contratto, se non accetti, attraverso il mio mediatore che è il caporale dico alla tua comunità che sei una poco di buono”.
Questo è un elemento di forte disagio per una donna, sopratutto quando è madre indiana, perché di fatto viene additata come una prostituta, ed è dunque obbligata ad accettare le avance.
Nelle campagne pugliesi, per esempio, l’accesso al corpo delle operaie agricole comunitarie è considerato un diritto di datori di lavoro e intermediari. I caporali rumeni decidono giornalmente “se destinare le donne alla raccolta o ai rapporti sessuali forzati”. Un dato utile a questo proposito è il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza. Tra il 2016, il 2017 e il 2018, molti degli aborti volontari di donne di nazionalità rumena in Puglia sono avvenuti nella provincia di Foggia: il numero più alto a livello regionale.
Secondo i dati Istat, dal 2007 al 2018 il numero di lavoratori e lavoratrici stranieri impiegati nei campi è aumentato di molto. Per quel che riguarda le donne, in particolare, si registra una crescita di circa il 200 per cento. E il settore agricolo, insieme a quello domestico, è il principale ambito di sfruttamento lavorativo. Uno sfruttamento che si basa sulle particolari condizioni di vulnerabilità in cui si trovano le braccianti, soprattutto migranti.
Hanno subito il peggio e non si sono arrese le operaie indiane, la difesa dei diritti delle braccianti non è una battaglia persa.