Adelina Sejdini era una donna di 47 anni nata a Durazzo, Albania. Giunse in Italia all’età di 15 anni, paese in cui riuscì a denunciare i suoi sfruttatori e permise l’arresto di 40 persone, tutte facenti parte del racket albanese che controllava lo sfruttamento della prostituzione in Italia durante gli anni ’90.
Ha vissuto una vita disagiata, costretta a lasciare Varese, città in cui era stata venduta ai suoi protettori e ha cercato di farsi una nuova vita a Pavia. Dopo il suo arrivo ha scoperto di avere un tumore al seno. Il suo unico desiderio era quello di ricevere la cittadinanza italiana, sogno che il nostro paese non le ha mai riconosciuto. Aveva un permesso di soggiorno, ma le era stato tolto lo stato di apolide. Aveva perso quindi ogni sussidio, pensione di invalidità per la sua malattia e possibilità di un alloggio popolare.
L’ultimo gesto di coraggio che ha compiuto è stato quello di trasferirsi a Roma nella speranza di essere ascoltata al Viminale e protestare contro la burocrazia che non le permetteva di ricevere la cittadinanza italiana. Non riuscendoci decise di cospargersi di alcool e darsi fuoco nel tentativo di suicidarsi; venne in seguito soccorsa all’ospedale Santo Spirito. Il 5 novembre scorso era tornata nuovamente al Viminale per una protesta solitaria. In quella occasione si è vista conferire un foglio di via dalla Capitale. Invece di ritornare a Pavia, ha deciso di lanciarsi dal cavalcavia ferroviario di Ponte Garibaldi.
