Nel paese, uomini di ogni età sostengono con veemenza che in Corea del Sud sarebbe in corso una grande cospirazione tra femministe, governo e aziende, per colpire ed emarginare gli uomini. Questi movimenti, scrive il New York Times, hanno una grande influenza e stanno, di fatto, imponendo la loro agenda alla politica sudcoreana e non solo.
La cosa più preoccupante è comunque che le richieste dei gruppi antifemministi – che raccolgono anche molte donazioni online – stanno condizionando la politica del paese. Il prossimo 9 marzo ci saranno le elezioni presidenziali e nessuno dei principali candidati sta dando spazio alla questione dei diritti delle donne. Yoon Suk-yeol, il candidato dell’opposizione conservatrice, si è schierato apertamente con il movimento antifemminista, ha ad esempio accusato il ministero delle Pari opportunità di trattare gli uomini come “potenziali criminali sessuali”, ha promesso pene più severe per chi accusa ingiustamente gli uomini di reati sessuali e ha incluso nel suo staff per la campagna elettorale un importante leader di 31 anni di un gruppo antifemminista.
Qualche giorno fa Yoon ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un criptico messaggio “Abolire il ministero delle Pari opportunità e della Famiglia”, con questa proposta Yoon sta cercando secondo i media coreani, l’appoggio dei giovani uomini sudcoreani in età da servizio militare obbligatorio. Da anni ormai il problema dei rapporti tra uomini e donne nella società tradizionale sudcoreana ha raggiunto livelli allarmanti. In Corea del Sud i giovani maschi sono arrabbiati con le donne che chiedono più emancipazione ed equità. Per loro le donne sono “privilegiate” perché non sono costrette a fare il servizio di leva. L’Hankyoreh, giornale sudcoreano progressista, critica Yoon per questa campagna elettorale concentrata sulla “gender war”.
In Corea del Sud la cultura è tradizionalmente molto conservatrice e patriarcale. L’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) dice che il paese ha di gran lunga il divario salariale di genere più ampio tra i paesi che ne fanno parte: solo il 5 per cento circa di chi siede nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa è donna, rispetto alla media OCSE che è di circa il 27 per cento, e i dirigenti d’azienda sono soprattutto uomini che hanno più di 50 anni.
Nel parlamento sudcoreano ci sono 57 donne su 300 parlamentari e i dati mostrano, come avviene anche altrove, che la percentuale delle donne che devono lasciare il lavoro dopo il parto è alta. Anche qui, sono ancora le donne a farsi carico di gran parte del lavoro domestico, non retribuito, e quello delle molestie è un problema strutturale e molto radicato.
Una forma particolare di molestia è molto diffusa nel paese, è stata analizzata in un recente rapporto di Human Rights Watch intitolato “My Life is Not Your Porn”: consiste nel filmare con telecamere nascoste le donne nei bagni pubblici o in altri luoghi e nel diffondere il materiale senza il loro consenso. La giustizia spesso non punisce tali reati e nel 2019 quasi la metà di questi casi è stata archiviata dai tribunali.
Contro le lotte dei movimenti delle donne e contro la promozione della parità di genere assunta formalmente a livello politico si è diffuso tra gli uomini più giovani un sentimento di rifiuto delle istanze femministe, che ha portato alla formazione di gruppi le cui battaglie si basano sul timore che la società stia diventando più ingiusta per loro, e che esista un complotto tra governo, aziende e gruppi femministi per ridurre gli uomini a una posizione di inferiorità.
Il fatto che abbiano prevalso le voci di gruppi di pressione maschili meno numerosi di quelli femminili è in parte il riflesso di un livello crescente di disoccupazione causato dal rallentamento dell’economia sudcoreana. Gli uomini si sentono particolarmente colpiti in una società che ancora gli richiede di mantenere la famiglia e di procurare il denaro necessario al matrimonio e alla casa.
Questi gruppi hanno reagito con rabbia anche alle briciole concesse alle donne dal ministero per l’uguaglianza di genere e la famiglia (che vorrebbero abolire), perché secondo loro le donne stanno facendo progressi nel campo professionale mentre gli uomini sono obbligati a due anni di leva militare. In alcuni tra i commenti peggiori denigrano le coreane definendole come cercatrici d’oro che dipendono dagli uomini, con nomignoli come kimchinyeo (donna kimchi, dal nome del piatto nazionale coreano) o doenjangnyo (donna pasta-di-fagioli). E tuttavia la loro richiesta di attenzione è, per certi versi, un sintomo dei progressi fatti dalle donne.
Se questi uomini “provano” questo disagio di “inferiorità”, figuriamoci le donne con un destino patriarcale scritto fin dalla nascita!