L’Indipendenza del Kosovo, dal massacro di Drenica alla Rinascita

Il 17 febbraio 2008, durante una sessione straordinaria del Parlamento a Pristina, il premier Hashim Thaci dichiara che il Kosovo “è uno Stato orgoglioso, indipendente e libero” e firma la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. Quella che era una provincia serba ha scelto di staccarsi e diventare uno Stato indipendente e sovrano. Thaçi, prima di firmare la dichiarazione, assicura che l’implementazione dell’indipendenza sarà coordinata con le istituzioni dell’UE e che nonostante l’influenza di Belgrado su Pristina sia definitivamente tramontata, si impegnerà a tutelare in ogni circostanza la minoranza serba sul territorio.

A fine seduta viene esposta in Parlamento la nuova bandiera: una sagoma gialla che simboleggia il nuovo Stato, su uno sfondo blu scuro con sei stelle che richiama l’Unione Europea. Per le vie di Pristina c’è un clima allegro e sereno, la gente marcia per strada al grido “Kosovo! Kosovo!” e ovunque sono appesi striscioni e poster con slogan patriottici e bandiere albanesi (rosse con l’aquila nera al centro) e americane.

Questo atto è frutto della complessa storia di una società multietnica, di convivenza e di conflitti che si sono protratti a lungo nel tempo. Fin dall’antichità, il Kosovo è sempre stato terra di conquista, prima da parte dell’Impero Macedone e poi di quello Romano, fino a diventare nel Medioevo il cuore dell’Impero serbo. Dopo la battaglia di Kosovo Polje, la regione passò per cinquecento anni sotto il dominio ottomano, periodo durante il quale aumentò notevolmente la popolazione albanese di religione musulmana; con la sconfitta dei turchi nella Guerra dei Balcani (1912), il Kosovo venne annesso alla Serbia.

Sul territorio convivono storicamente sei diversi gruppi etnici, da cui le sei stelle presenti nella bandiera nazionale: albanesi, serbi, turchi, gorani, rom e bosgnacchi (bosniaci musulmani). La popolazione albanese rappresenta attualmente circa il 90% del totale, mentre i serbi, in minoranza, vivono massimamente nelle enclavi settentrionali di Leposavic, Zvecan e Zubin Tobok.

Dal momento in cui la popolazione albanese rappresentava quasi la totalità del paese, Tito negli anni del suo governo prese in considerazione le richieste di autonomia da parte degli albanesi in Kosovo e lo proclamò Provincia Autonoma della Repubblica Socialista di Serbia.

Per questi motivi, successivamente alla morte di Tito e all’ascesa al potere di Slobodan Milošević in Serbia, il paese ha subito un processo di perdita di autonomia ed assimilazione culturale che ha stravolto le relazioni politiche nella regione ed ha fortemente discriminato la componente albanese del paese. Nel 1989, infatti, è il governo avviò una fase di “serbizzazione” della provincia: l’insegnamento della lingua e della storia albanese venne abolito dalle scuole e i dipendenti pubblici albanesi furono sostituiti in massa da colleghi serbi. Milošević mise in atto una durissima repressione culminata in una pulizia etnica. In risposta, si svilupparono due fazioni parallele: quella non violenta della Lega Democratica del Kosovo (LDK) guidata da Ibrahim Rugova e quella reazionaria e armata del Movimento di Guerriglia Indipendentista (UCK), considerata come organizzazione terroristica dalla comunità internazionale.

Dal 1996 le cose cominciarono a cambiare, mentre per i primi dieci anni di repressione la popolazione kosovara reagì principalmente in maniera non violenta, seguendo i dettami del presidente Rugova, gli atti terroristici dell’UCK aumentarono esponenzialmente. Nel 1998 scoppiò la guerra vera e propria, quando la fanteria serba invase la regione. L’avanzata dell’esercito serbo e dei gruppi paramilitari ad esso collegati, colpì principalmente la popolazione civile e si rese protagonista di brutalità e violazioni dei diritti umani, come nel caso massacro di Drenica, cittadina roccaforte dell’UCK, nella quale 150 civili furono giustiziati sul posto dai militari serbi. Il risultato fu la morte di 11˙000 civili albanesi e la distruzione di scuole, case e moschee. Mentre una parte della popolazione albanese era impegnata nel conflitto, circa 800˙000 civili attraversano il confine con l’Albania e la Macedonia in cerca di salvezza.

Dinnanzi a tale situazione, il conflitto in Kosovo divenne una questione di interesse internazionale. Venne creato un Gruppo di Contatto formato dai ministri degli esteri di Italia, Francia, Russia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, i quali si riunirono nel vano tentativo di promuovere un compromesso e porre fine al conflitto. Data l’indisponibilità a trattare da parte del governo serbo, i paesi NATO intervengono in Jugoslavia nel marzo 1999 con una serie di bombardamenti aerei, l’operazione Allied Force. In questi mesi la Serbia viene pesantemente colpita, intere città rase al suolo e centinaia di civili rimangono uccisi. I bombardamenti si concludono qualche mese dopo, a giugno, quando Belgrado accetta il piano di pace proposto dai paesi del G8.

Nel 2000 le prime “libere” elezioni videro la vittoria del LDK. Ibrahim Rugova divenne presidente e venne riconfermato nel 2005. Dal 2007 invece il potere passò in mano all’ex leader UCK Hashim Thaçi, importante fautore dell’indipendenza del 2008 e riconfermato alla presidenza nel 2010. Il paese oggi è riconosciuto dalla metà degli stati ONU, tra cui Italia e Stati Uniti. Tuttavia importanti paesi come India, Cina, Brasile, Spagna e Grecia, Russia e – ovviamente – Serbia rifiutano di riconoscere l’entità.

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