Nasce un corso di doppiaggio inclusivo, o meglio di Recitazione e Scrittura applicate al Doppiaggio che vuole valorizzare la Diversity and Inclusion. A metterlo in atto è la società di post-produzione e doppiaggio 3Cycle, in collaborazione con la fondazione Diversity che si occupa di promuovere l’inclusività e con il sostegno di Netflix. Il progetto riunisce esperti del mondo del doppiaggio e attivisti, per proporre un punto di vista completo agli studenti e a un pubblico sempre più attento e sensibile a certe tematiche.
Questo articolo si ispira a quello originale di The Wom che presenta un’intervista a Gabriella Crafa, vicepresidente di Diversity.
Sappiamo benissimo quanto certe storpiature dell’inglese o traduzioni maccheroniche di alcune serie tv doppiate negli anni ’90 o 2000 possano far storcere il naso per l’inesattezza delle parole che non rendono l’idea o la battuta di partenza e anzi la sprecano. Lo stesso avviene quando per trattare categorie o tematiche sottorappresentate si utilizzano termini, espressioni e modalità non adatte o addirittura offensive e svilenti. O ancora, capita che in italiano manchino proprio dei termini analoghi o equivalenti per indicare determinati elementi, seppur esistenti. Gabriella Crafa ricorda quanto potere abbiano i linguaggi e le rappresentazioni nel condizionare il reale e l’immaginario collettivo.
Gabriella Crafa afferma: “Non abbiamo bisogno di trovare polarizzazioni […] ma di creare un approccio comune e rispettoso. […] Solo lo 0,01 per cento delle notizie del mondo dell’informazione riguarda il mondo della disabilità. […] Il razzismo da noi ha le sembianze del barcone ma è sistemico perché si annida in ogni aspetto sociale e politico, lasciando anche indietro quelle generazioni che sono a pieno titolo italiane.” I personaggi transgender sono sempre stati rappresentati in maniera univoca, spesso negativa e molto discutibile come “assassini, prostitute, doppiogiochisti”. “Ma cosa siamo stati in grado di produrre? Che cosa siamo stati in grado di vedere senza sentire un pugno nello stomaco?”
Due elementi mi hanno particolarmente colpita di questa intervista. Gabriella Crafa spiega in termini chiari e concisi due fattori che da anni mi girano in testa e cerco di dibattere con chi mi sta intorno, spesso senza successo.
Il primo è il “socratico so di non sapere” come atto di umiltà e di messa in discussione di sé stessi. Per un doppiaggio inclusivo è essenziale “creare una profonda sinergia fra chi appartiene ai gruppi sottorappresentati e chi deve rappresentarli.” Questi ultimi devono ammettere di non sapere e imparare da chi meglio sa e vive certe situazioni sulla propria pelle in prima persona. Questo permetterà anche la creazione di personaggi veri e non stereotipati, con ruoli reali e non “messi lì per caso”. Questa essendo un’opposizione sia di chi questi personaggi li vuole vedere rappresentati, sia di chi invece preferirebbe non vederli.
Il secondo punto è un’importantissima messa in relazione del mondo dello spettacolo e della rappresentazione con una situazione sociale più ampia, del mondo del lavoro nella sua interezza. A chi sostiene che si dovrebbe ragionare per merito e non per quota, Gabriella Crafa risponde che si tratta di un “alibi di chi non conosce la realtà. Il tasso di abbandono scolastico delle persone con disabilità e transgender è enorme e non dimentichiamoci del numero di suicidi delle persone transgender. Parliamo di persone che forse nemmeno arrivano al mondo del lavoro. In determinati ambiti, assistiamo a una perdita di percorso incredibile che riguarda le donne, pensiamo alle discipline stem. […] Non c’è un accesso alla professione garantito per tutte quelle persone appartenenti ai gruppi sottorappresentati. È un discorso di accessibilità al mondo del lavoro in generale […] il percorso di equità da intraprendere non riguarda solo il mondo dello spettacolo.
Quindi, se da un lato la rappresentazione è stereotipata, dall’altro per determinati ruoli mancano gli attori e il personale più indicato per interpretarli per via di un difficile accesso al lavoro per determinate categorie. Parlando del corso di doppiaggio inclusivo Gabriella Crafa sottolinea anche un “percorso di professionalizzazione che dia opportunità concrete” in questa collaborazione con Claudia Simonetti dubbing manager di Netflix e Marco Guadagno amministratore delegato della 3Cycle.
3Cycle è una società di post-produzione e doppiaggio nata ufficialmente nel 2013.
Diversity nasce come associazione nel 2013 diventando una Fondazione nel 2022 “impegnata nel diffondere la cultura dell’inclusione, favorendo una visione del mondo che consideri la molteplicità e le differenze come valori e risorse preziose per le persone e le aziende. Comunicazione, ricerca, monitoraggio, formazione, consulenza e advocacy” sono le principali attività. Molti potrebbero averne sentito parlare grazie ai loro Diversity Media Awards (DMA) “l’evento che premia le produzioni, i broadcaster, i publisher e i protagonisti dei prodotti mediali e il personaggio pubblico che meglio hanno raccontato temi o storie di inclusione”.