Una sera ai Golden Globes Parte 1: Le premiazioni della diversità?

In attesa degli Oscar che si terranno il 12 marzo voglio dedicare questo articolo e il prossimo alle premiazioni dei Golden Globes che hanno avuto luogo il 10 gennaio a Beverly Hills, Los Angeles. Si trattava in particolare dell’ottantesima edizione ed è stata presentata dal comico afro-americano Jerrod Carmichael. Oggi vorrei concentrarmi sulla serata delle premiazioni e sul rapporto di questa cerimonia con l’inclusività. La prossima settimana troverete invece tre consigli di film da recuperare assolutamente!

Se almeno una volta vi siete chiesti cosa sono i Golden Globes e in cosa differiscono dagli Oscar, qui troverete la vostra risposta. Se da un lato i premi Oscar sono incentrati sulla cinematografia e dall’altro gli Emmy Awards sono i premi concessi per i programmi televisivi come le serie, i Golden Globes considerano entrambe queste categorie operando anche delle distinzioni di genere (drammatico, commedia, musicale). Sono tutti premi statunitensi, ma nascono in anni diversi e fanno capo a organizzazioni e associazioni differenti: gli Oscar e gli Emmy sono assegnati da due Accademy mentre i Golden Globes da un’associazione, la Hollywood Foreign Press Association (HFPA) , una giuria di circa novanta giornalisti della stampa estera. I Golden Globe Awards risalgono al 1944 mentre gli Oscar sono il premio cinematografico più prestigioso e antico al mondo risalente al 1929. I Golden Globes si tengono circa due mesi prima degli Oscar e spesso ne rappresentano un’anticipazione in termini di candidature e di possibili vittorie.

In questa ottantesima edizione l’inclusività sembra all’ordine del giorno, anche fin troppo esasperata. Si tratta di una situazione di fronte alla quale è impossibile non chiedersi cosa sarebbe giusto fare e pensare, senza necessariamente trovare una risposta definitiva. Il dubbio qui non riguarda la questione merito vs quote, ovvero un riconoscimento “forzato” di determinate categorie. (Come dicevamo nell’articolo inerente al doppiaggio inclusivo, le quote sono necessarie per pareggiare una situazione di disparità e impossibilità secolari di accesso a istruzione o lavoro per certe categorie.) Qui il dubbio è se debba prevalere la necessità di rappresentare certe categorie, o quella di non scendere a patti e a compromessi con chi se ne occupa unicamente per marketing e non certo per buoni sentimenti. Finché l’onda da seguire per guadagnare consensi sarà quella del politicamente corretto io sono per la valorizzazione delle categorie sottorappresentate, sempre e comunque, ma non posso non chiedermi cosa accadrà quando quest’onda si disperderà, ovviamente sperando che non accada mai.

Il presentatore afro-americano Jerrod Carmichael mette subito i puntini sulle i e affronta un discorso simile nel suo monologo d’apertura ai Golden Globes. Tuttavia, è difficile credere che egli spontaneamente e improvvisamente si sia ritorto contro l’organizzazione. È più facile pensare che l’elefante nella stanza fosse così grande e così rumoroso che solo evidenziandolo lo si poteva mettere a tacere. Carmichael si rivolge quindi al suo pubblico: “Vi dirò perché sono qui. Sono qui perché sono nero.”. Il presentatore si dilunga raccontando quanto fosse indeciso se accettare o meno questo incarico e quanto fosse sorpreso nel sentirselo offrire. Era lì perché veniva riconosciuto il suo talento o era lì per rappresentare qualcosa? La paga era ottima e la rappresentazione della comunità nera è importante. Carmichael decide quindi di accettare e al suo pubblico dice: “Qualunque sia il passato della HFPA, questa è una sera in cui veniamo celebrati, e penso che quest’industria se lo meriti”. Certo che queste categorie se lo meritano, ma riflettere sulla sincerità di chi lo rende possibile e il perché lo fa resta comunque necessario.

La HFPA, nonostante un discorso finale della Presidente in carica riguardo l’attuale percorso di inclusività e integrazione intrapreso dall’associazione, decide di far aprire il discorso a qualcun altro e in particolare a qualcuno appartenente alla categoria per la cui sottorappresentazione l’associazione è stata criticata. Proprio come poche righe prima, è poco chiaro se il gesto sia un sincero dare voce a chi non l’ha mai avuta oppure un tentativo di scaricare la responsabilità su un soggetto meno incline a essere criticato. Qualunque sia la risposta, rimane evidente che in una certa misura questa edizione dei Golden Globes vuole migliorare la reputazione dell’ evento. Nel 2022 la cerimonia non venne infatti trasmessa, ma mantenuta privata. In parte per via del Covid, ma soprattutto per un’inchiesta del 2021 che ha portato alla luce la totale assenza nella HFPA di rappresentazione e di persone nere. Questo ci porta al 2023 e a questa edizione che grida inclusività a ogni costo.

Provando a dimenticare le controversie e il discorso d’apertura, questi Golden Globes ci regalano anche dei momenti di apprezzata valorizzazione della diversità. Come le vittorie di Everything everywhere all at once, un film magistrale che secondo alcuni avrebbe meritato più statuette ancora, che vede protagonisti due attori di origini cinesi e vietnamite. O ancora quella di Pinocchio del famosissimo regista messicano Guillermo del Toro e il trionfo di Argentina, 1985 come miglior film straniero.

Altrettanto apprezzabile e doveroso è stato il gesto di Ryan Murphy, regista, sceneggiatore e produttore noto per Glee, American Horror Story, Pose e Dahmer. Dopo essere stato premiato, Murphy ha fatto un discorso per la comunità lgbtq+ di cui lui stesso fa parte. Ha poi attirato l’attenzione su Michaela Jaé Rodriguez che nel 2022, edizione non andata in onda, ha vinto il Golden Globe per la serie tv Pose diventando la prima attrice transgender a ottenere il premio. È stata celebrata così, un anno dopo, con una meritata standing ovation. M J Rodriguez è di origini afroamericane e portoricane.

Foto: Creative Commons Flickr

Menu