La settimana scorsa, una ragazza di 19 anni si è suicidata nel bagno di una università a Milano. Ha lasciato un biglietto: “Ho fallito”. È il 5° studente a commettere il gesto, all’interno di un ateneo italiano, dal 2020. Nelle parole di un collettivo studentesco di Pescara, “Sì, chi si suicida è l’autore della propria morte, ma non ha la colpa di quella scelta ”.
In Italia, sotto l’illusione della meritocrazia, si parla tanto di “cultura dell’eccellenza” nelle università: diplomi record, voti altissimi, ecc. Ma questa cultura non contempla la maggioranza dei giovani che provengono da famiglie popolari, povere, che non riescono nemmeno ad arrivare alla fine del mese.
In un paese in cui anche l’università pubblica è pagata (salvo eccezioni), rimanere un semestre in più, essere bocciato e ripetere un esame è qualcosa che i giovani vedono come drammatico. Chi è in ritardo si sente disgustato, prova vergogna di se stesso e di solito ha paura di raccontare alla propria famiglia, che spesso fa dei sacrifici enormi pur di mantenere i figli all’università.
Ma quello di cui raramente si parla è che la “cultura dell’eccellenza” è davvero una questione di classe e che, quasi sempre, l’idea che sforzarsi basti di per se per raggiungere un’obbiettivo accademico è solo un’illusione.
Infatti, secondo l’OCSE, “tra i figli di genitori laureati, il 75% riesce a laurearsi, probabilità che scende al 48% quando lo studente proviene da una famiglia in cui il titolo di studio massimo è il diploma di un solo genitore. La percentuale scende a 12% se entrambi genitori hanno solo il diploma di scuola media superiore”.
Negli istituti universitari migliori, dove gli studenti di solito vincono borse di studio, la concorrenza e la pressione sono schiaccianti. In università dove si garantisce una borsa di studio, vitto e alloggio, non è raro vedere persone che abusano di farmaci che bloccano il sono. Serve più tempo per studiare, perché prendere un voto basso, significa perdere la borsa di studio.
Nel 2021, è stato un vero scandalo quando, alla Scuola Normale di Pisa, tre studentesse hanno tenuto un discorso pubblico criticando le dinamiche interne. Nell’istituto universitaria più rinomato d’Italia, le ragazze criticavano l’esagerata competitività che produceva disagio psicologico, l’indifferenza di alcuni professori nei confronti del proprio insegnamento, le prospettive incerte per il futuro accademico.
Sappiamo di donne che sono violentate e assassinate all’interno delle università. La salute mentale è sempre più minata dalla mancanza di un’adeguata assistenza psicologica, aggravata da un ambiente competitivo. Inoltre, c’è l’angoscia di un futuro incerto.
Una delle linee che si dovrebbe promuovere in tutto il mondo non è solo l’accesso libero, universale e dignitoso all’università per tutti, ma la fattibilità materiale di rimanervi, che permetta di portare a termine il percorso prescelto. Questa fattibilità riguarda anche la salute mentale, la sicurezza fisica e la capacità materiale di sostenere i costi di un corso di laurea.