La presenza di numerose chiese ecumeniche e ong religiose nelle comunità indigene dell’Amazzonia rappresenta, il più delle volte, una forma di neocolonialismo culturale, in cui la cultura e le credenze delle comunità locali sono sostituite dalla cultura e dalla religione occidentale. Ciò può portare alla perdita dell’identità e all’erosione della diversità culturale nella regione.
Alcune organizzazioni ecclesiali ecumeniche sono entrate in queste comunità indigene con il pretesto di promuovere il dialogo e la cooperazione interreligiosa, oltre a fornire servizi sociali, sanitari ed educativi. In cambio, sono riuscite a guadagnarsi la fiducia di queste comunità, che pian piano si sono lasciate convincere ed influenzare verso altri sistemi e modi di vivere al di fuori della cultura originaria. Molte organizzazioni hanno sviluppato questa agenda più apertamente in passato, come parte di un programma di conversione religiosa e assimilazione culturale che faceva parte del colonialismo e dell’imperialismo.
Molti teorici sostengono che la presenza di missionari e funzionari di queste istituzioni in Amazzonia possa violare i diritti delle popolazioni indigene, compreso il diritto all’autodeterminazione, alla libertà religiosa e alla conservazione della loro cultura e tradizioni. L’imposizione di una religione straniera e la pressione per l’assimilazione culturale possono essere viste come forme di oppressione e mancanza di rispetto per i diritti di queste comunità.
Un’altra critica è che la presenza dei missionari può interferire con i sistemi di credenze e pratiche culturali delle popolazioni indigene, portando spesso alla sostituzione delle loro tradizioni e credenze con quelle portate dai missionari. Questo può significare la perdita di identità culturale e spirituale. Anche il degrado ambientale e la mancanza di rispetto per le biodiversità si possono verificare quando la conversione religiosa è accompagnata da un cambiamento nei modelli di utilizzo del suolo e nello sfruttamento delle risorse naturali, portando a deforestazione, inquinamento e impatti negativi sugli ecosistemi locali.
Dal punto di vista della storia del colonialismo e dell’imperialismo, molti teorici sottolineano che la presenza di queste persone in Amazzonia è radicata nella storia, in cui la religione era usata come strumento per imporre il dominio e il controllo stranieri sulle culture e società locali. Questo può far vedere la presenza dei missionari come una continuazione di questa storia di oppressione e sfruttamento.
Questo uso della religione ci fa ricordare il marxista Frantz Fanon, nel suo libro “I dannati della terra”, che afferma che la colonizzazione comporta non solo sfruttamento economico, ma anche sottomissione culturale e religiosa. Fanon vede la religione come uno strumento utilizzato dai colonizzatori per imporre la propria cultura e i propri valori ai popoli colonizzati. Per Fanon, la presenza della religione nelle società colonizzate non può essere intesa solo come manifestazione culturale o spirituale, ma anche come strumento di dominio e controllo.
Alcuni autori marxisti che hanno espresso questa critica sono stati Louis Althusser, in “Ideology and Ideological State Apparatuses” (1970), che ha sostenuto che la religione è un’ideologia che lavora per mantenere il dominio delle classi dominanti e che la lotta di classe deve essere centrale per la trasformazione sociale. Anche Slavoj Žižek, ha affermato che la religione può essere utilizzata come forma di distrazione o consolazione per la classe operaia distogliendo l’attenzione dalle questioni fondamentali della lotta di classe, ha parlato di questo argomento in diverse opere: “Welcome to the Desert of the Real” (2002); “The Spectre of Ideology” (1993); e “The Sublime Object of Ideology”, (1989). Non è da dimenticarsi Karl Kautsky, in “The Foundations of Christianity” (1908), che già da prima spiegava che la religione è una forma di alienazione che mantiene i lavoratori sottomessi al dominio borghese, un po’ sulla scia di Karl Marx.
Dal punto di vista della critica basata su autori considerati decoloniali, possiamo citare il filosofo argentino Enrique Dussel, a sua volta, in “Historia de la Iglesia en América Latina: De la Conquista a la Utopía”, sostiene che la presenza della chiesa nelle comunità indigene è una forma di “colonizzazione interna”, in cui gli indigeni sono culturalmente soggiogati dai colonizzatori cristiani. Un altro autore latinoamericano, Aníbal Quijano, sostiene che la colonizzazione implica l’imposizione di un sistema di valori e credenze che giustifica lo sfruttamento e la sottomissione dei popoli colonizzati, e che la religione è una parte importante di questo sistema di valori.
Inoltre, la presenza dei missionari e funzionari delle ong può avere un impatto anche sui rapporti tra le comunità indigene e il governo o altri enti esterni. I missionari spesso hanno i propri programmi politici e possono lavorare a stretto contatto con governi o aziende che hanno interessi diversi rispetto alle comunità. Ciò può portare a conflitti e alla perdita dei diritti e dei territori indigeni.
In sintesi, sebbene queste organizzazioni possano portare alcuni benefici alle comunità indigene, come l’assistenza medica, è importante considerare i rischi e i pericoli associati a queste presenze. È fondamentale che le comunità indigene abbiano il diritto di prendere le proprie decisioni sulla propria cultura e futuro, senza interferenze esterne.
